Noi a Civitavecchia fluttuiamo in aria.
Si esatto. Niente mare, niente campagna, figuriamoci poi la collina.
E come se quella miscela invisibile di azoto, ossigeno, vapore acqueo e anidride carbonica accogliesse questa città nelle nuvole di un morbido abbraccio amniotico trasparente e materno.
Noi a Civitavecchia ci preoccupiamo del nostro liquido amniotico. Noi non ci facciamo fregare dall’ansia e dall’ipocondria. Abbiamo il controllo della situazione. Monitoriamo il nostro brodo vitale, ne saggiamo l’odore, il colore, la consistenza. Elaboriamo parametri sintetici da mandare in diretta su appositi cartelloni sparsi per il comprensorio.
Ci prendiamo cura di ciò che ci dona la vita e lo sondiamo quasi fosse un malato terminale in rianimazione. Ma i segni fisiologici non sono preoccupanti. Succedesse qualcosa non sapremmo come intervenire, certo, ma fin qui tutto bene.
E poi tanto non sembra vicino il giorno in cui, alla fine, questa città sarà partorita e dovrà uscire fuori, nell’ambiente esterno, quello della consapevolezza, fatto non solo di aria e nuvole, ma fatto di Realtà.
Foto di Enrico Paravani ©