Rispondendo ad una interrogazione parlamentare promossa dall’On. Marta Grande, il Sottosegretario alla Difesa Gioacchino Alfano ha recentemente confermato la paventata realizzazione di un inceneritore di armi chimiche all’interno del CETLI di Civitavecchia, conosciuto ai civitavecchiesi come “Campo Chimico”.
L’omonimo del più noto Angelino riferisce che tale dispositivo sarà utilizzato al fine di smaltire “aggressivi chimici non eliminabili con la tecnologia attualmente in uso al Ce.T.li.».
Di che si tratta?
Probabilmente si sottintende la necessità di smaltire ordigni al fosforo bianco, usati come “illuminanti” dall’Artiglieria (almeno sulla carta) e tristemente noti per quanto accaduto quando truppe statunitensi li utilizzarono per vincere le forti resistenze offerte dagli abitanti di Falluja, in Iraq. Il fosforo a contatto con l’ossigeno prende fuoco ed è pressoché impossibile da spegnere: una vera arma chimica camuffata da arma convenzionale.
Civitavecchia è da 60 anni terra di servizio e di conquista: depositi costieri di carburante, una centrale elettrica alimentata a carbone ed una a gas, un porto tra i più trafficati del Tirreno, una discarica a ridosso del centro urbano. Non ci sono limiti alla capacità di sopportazione della città.
Eppure Civitavecchia muore, si ammala, soffre ogni giorno dell’arroganza di chi ha deciso che questo sia un territorio di second’ordine.
Il Sottosegretario afferma che il termo-ossidatore sarebbe “assimilabile a un forno industriale di piccola capacità e pertanto non inserito nella tipologia di impianti che necessitano della Via e dell’Aia” e che lo stesso avrebbe un “impatto ambientale minimo, grazie ad emissioni in atmosfera ampiamente entro i limiti imposti dalla vigente normativa”, ancor prima che lo stesso impianto sia realizzato.
Un atteggiamento che ricorda quello tenuto nei confronti della Centrale ENEL. Aspettiamo con ansia che qualcuno ci venga a raccontare che bruciare le armi chimiche sia un modo più ecologico che smaltirle come si è invece fatto fino ad oggi (ossia con una metodica di inertizzazione chimico-fisica mediante cloro, acqua ossigenata e sabbia).
Dopo il carbone pulito avremo il fosforo verde e lo smaltimento “ecosostenibile” dell’iprite…
- Sulla base di quali dati scientifici si sono valutate le emissioni in atmosfera che da tale impianto avrebbero luogo?
- Chi, come e dove ha valutato le possibili interazioni con quanto già quotidianamente la città è costretta a respirare?
- Il ricorso al segreto militare è funzionale ad effettive esigenze di difesa o solo uno strumento per aggirare le norme poste a protezione dell’ambiente?
L’Esercito Italiano è in affanno per il corposo ritardo accumulato nei confronti dei tempi stabiliti dalla Convenzione di Parigi per lo smaltimento delle armi chimiche (previsto tassativamente entro il 2012). Ciò non può assolutamente giustificare che la soluzione ai soliti errori di pianificazione passi ancora una volta sulla pelle dei civitavecchiesi.
Una valutazione di impatto ambientale, tale da analizzare con la dovuta serietà i possibili effetti sulla salute della cittadinanza ed i rischi di incidente rilevante, insieme ad una valutazione della capacità di risposta delle locali strutture sanitarie e di emergenza nel caso un evento di tal genere dovesse verificarsi sono elementi irrinunciabili per la sicurezza della città prima che una decisione del genere venga messa in pratica.
La città aspetta una risposta e ricorda a certe Istituzioni che la Difesa del Paese è proprio il loro compito supremo.
Foto di Fulvio Floccari©