Guardare una carta geografica può portare lontano.
Seguire i contorni di una mappa immaginando un luogo distante dal “qui” è una reazione spontanea. Le forme astratte di un atlante esercitano una potente fascinazione sulla psiche umana, rappresentando il desiderio eroico dell’uomo di conoscere il mondo, quel desiderio che nei secoli ha fatto attraversare oceani, affermare confini, nominare luoghi.
Le mappe proiettano sul nostro inconscio l’immagine di un altrove irraggiungibile, lasciando la sensazione di una distanza incolmabile.
Il mondo dell’arte non poteva restare immune a questo fascino. Più di un artista ha dato alle proprie opere una connotazione geografica.
Fra tutti il più sorprendente è Alighiero Boetti.
Famosissima è la sua serie di arazzi realizzata negli anni Settanta.
A partire dal 1971, l’artista commissionò ad alcune ricamatrici afghane grandi mappe del mondo nelle quali le nazioni venissero ricamate con i colori della propria bandiera.
La produzione di questa serie abbraccia un periodo di vent’anni, registrando nel mutamento dei confini territoriali i cambiamenti politici mondiali.
A stupire in questi lavori è il senso di molteplicità e la dimensione universale, la partecipazione collettiva che si concretizza nelle mani delle ricamatrici, elevate da Boetti al ruolo di artefici.
L’artista dichiarerà: “Il lavoro della Mappa ricamata è per me il massimo della bellezza. Per quel lavoro io non ho fatto niente, non ho scelto niente, nel senso che: il mondo è fatto com’è e non l’ho disegnato io, le bandiere sono quelle che sono e non le ho disegnate io, insomma non ho fatto niente assolutamente; quando emerge l’idea base, il concetto, tutto il resto non è da scegliere”.
Boetti ama il gioco, ama confondere i ruoli e sdoppiarsi. Nella sua vita di artista e viaggiatore valicherà confini reali e immaginari.
Altra figura importante a servirsi dell’iconografia geografica è Piero Pizzi Cannella.
Le sue mappe, contrariamente a quelle di Boetti, sono molto lontane dall’arte concettuale.
Le carte dipinte di Pizzi Cannella raffigurano un mondo diafano e in espansione, fatto di confini indistinti e di luce.
Sono luoghi carichi di mistero, approdi irraggiungibili. Tra continenti alla deriva campeggiano immagini di città, vestiti di donna, anfore. Sono oggetti della memoria e del sogno che trasportano l’osservatore nel mondo del mito.
Mappe concrete o immaginarie sono state al centro dell’indagine estetica di numerosi artisti.
Vale la pena citarne ancora uno: Pierto Ruffo, giovanissimo e con una formazione da architetto.
I supporti delle sue opere sono spesso costituiti da grandi mappe territoriali sulle quali prendono forma con un tratto lieve e meticoloso organismi vegetali, animali, ritratti di personaggi storici e contemporanei, tutti rigorosamente fuori scala.
Sono lavori carichi di rimandi storico-politici, che indagano l’uomo nel suo contesto geografico e culturale, svelando affinità e dissonanze tra i popoli della terra.
Confini, dunque, tangibili o precari. Forme astratte in evoluzione continua. Trame sottilissime di una narrazione di cui si percepiscono solo frammenti.
Questo evocano le mappe.
Usate come superfici di fondo, accennate o prepotentemente espresse lasciano il segno di un interrogativo perenne a cui l’arte non può sottrarsi.