“Quando Dio creò la prima immagine d’argilla di un essere umano vi dipinse sopra gli occhi, le labbra e il sesso. Quindi vi dipinse su il nome d’ogni persona affinché il suo possessore non potesse mai dimenticarlo”
Questo passo tratto dal film “I racconti del cuscino” di Peter Greenway, traspone in chiave cinematografica l’ossessione dell’uomo per il connubio corpo-scrittura, un’ossessione che nella storia dell’arte ha fatto intraprendere strade inesplorate e a volte pericolose.
Negli anni ’70 la Body Art e il movimento femminista hanno rappresentato una grande svolta in tale direzione. Mai come in questo periodo il corpo diventa “argilla” da plasmare, tela bianca su cui poter scrivere la storia.
Un’opera emblematica, autentico manifesto politico radicale e coraggioso, è il video dell’artista egiziana Nil Yalter, “La femme sans téte ou la danse du ventre” del 1974. In questo video compare l’addome dell’artista sul quale è trascritto circolarmente, a partire dall’ombellico, il testo dell’etnologo e storico della cultura occitana René Nelli, che tratta l’”odio per il clitoride”. Viene quindi eseguita una danza del ventre su una musica della tradizione turca che fa ondeggiare la scritta in maniera concava e convessa, creando movimenti ritmici e intrecciando tradizioni occidentali e orientali.
La perfomance fortemente politica di Yalter, rimanda inevitabilmente all’opera di Shirin Neshat, artista più giovane di origine iraniana, ugualmente impegnata nel mostrare il ruolo sociale della donna nella propria cultura. Tra i suoi lavori più significativi ci sono ritratti di corpi femminili interamente ricoperti di scritte. “Women of Allah”, realizzata tra il 1993 e il 1997, è una serie di fotografie in bianco e nero che mostrano primi piani di donne velate, volti, mani e piedi su cui sono dipinti versi di poetesse iraniane contemporanee. Non di rado compaiono armi che accostate al velo indossato creano un effetto straniante. Parlando di questo lavoro Neshat ha dichiarato:
”Volevo capire la filosofia delle donne rispetto a molte cose, rispetto a chi uccide, rispetto a chi si sacrifica, all’idea del terrorismo, alle donne che si sentono pronte a morire in nome di Dio”.
E ancora parlando di questi ritratti così enigmatici:
”Il soggetto era davvero affascinante, perché sotto quel velo nero pulsava una identità nuova, forse più complessa e tormentata di come sia mai stata. Era un’identità fatta di ambizione, coraggio, desiderio, sensualità”.
Neshat rappresenta un mondo di contrasti profondissimi, fatto di poesia e violenza, resistenza e repressione. Un mondo che si racconta attraverso il binomio segno-corpo dando voce a soggetti storicamente costretti al silenzio. Se le immagini di “Women of Allah” hanno un sapore “melanconico”, più scioccante e cruento è il lavoro dell’artista guatemalteca Regina José Galindo, autrice di molte opere dal carattere sanguigno. Rimanendo nel tema di corpo e scrittura Galindo mette in scena performance che rimandano a fatti particolarmente drammatici avvenuti nel suo paese ad opera del regime militare.
A rievocare la violenza della cronaca nera e della dittatura c’è il corpo minuto dell’artista, il più delle volte nudo, che diventa schermo su cui proiettare parole di una violenza indicibile.
Nella performance “Perra” la scritta viene letteralmente incisa nella carne, segnando il corpo e lo spirito:
”Realizzare questa azione era un modo per capovolgere il potere di coloro che ci mantengono nell’orrore. Una donna incidendosi lei stessa la parola CAGNA con un coltello, e lasciando un marchio che rimarrà per sempre indelebile, impedisce che altri lo facciano. Nessuno può marchiarla, perché lo ha già fatto lei”.
Un’ azione estrema, che sfiora l’autolesionismo. L’arte del resto non è nuova a queste prove e la stessa Galindo in una intervista ammette che Perra è un’opera fortemente influenzata dal lavoro di Marina Abramovic, la quale nella sua lunga carriera ha sottoposto il proprio corpo ad azioni molto dure.
“Lips of Thomas” del 1975 mostra ad esempio l’artista montenegrina che pratica sul proprio ventre l’incisione di una stella a cinque punte.
La performance fa poi riferimento ad alcuni riti di purificazione e autopunizione della fede cristiana che portano l’artista a cercare una reazione del pubblico, il quale diventa parte integrante dell’opera.
Poesia, sofferenza, rigenerazione, il corpo nell’arte è testimonianza di vita e di morte, “L’immagine d’argilla” su cui scrivere.
Per saperne di più:
http://www.gladstonegallery.com/artist/shirin-neshat#&panel1-1
http://www.women.it/oltreluna/artepolitica/artisteviolenza/galindo.htm