Introdurre se stessi nell’opera o meglio diventare l’opera. Ecco l’atto più rivoluzionario compiuto daglia artisti nel secolo scorso. Ad affermare in maniera radicale questa svolta sul fronte dell’arte contemporanea è il fenomeno della Body Art, che all’inizio degli anni ’60 fa la sua comparsa in Europa e negli Stati Uniti portando nel linguaggio artistico di allora tutta la sua carica eversiva. Performance, fotografia e video, diventano i mezzi espressivi più usati mentre al centro dell’opera, l’artista pone la propria immagine decostruita e proiettata in una molteplicità di identità. Spossessarsi di se stessi, sgusciare via dal proprio simulacro per entrare nei panni altrui, questo è il nuovo campo di azione di alcuni body artist.
A muoversi in questa palestra della messinscena, nella ricerca incessante dell’altro, due grandi personalità, diverse per cultura e formazione, ma vicine nella passione per il trasformismo: l’italiano Luigi Ontani e l’americana Cindy Sherman.
Per una volta è meglio cominciare dall’Italia. Luigi Ontani è giustamente considerato un pioniere nell’arte del travestimento. I suoi autoritratti fotografici, da lui stesso definiti “tableaux vivant”, anticipano il lavoro di numerosi altri artisti. Nel 1968 l’artista italiano comincia a sperimentare la fotografia come principale mezzo espressivo. Attraverso una serie di pose, nudo o ricoperto da preziose stoffe orientali, circondato da oggetti di sua invenzione, Ontani reinterpreta la storia dell’arte pescando a man bassa nel mito e nell’allegoria. I suoi personaggi sono essenzialmente ludici, prendono forma dal camuffamento ma soprattutto dalla fisionomia del suo volto.
Ogni minima variazione della mimica facciale è fonte di profondo studio e costituisce il cuore del lavoro di Ontani. Nascono così ritratti di grande impatto visivo, figure estremamente sofisticate, in bilico tra l’eleganza e il Kitsch. Raffaello, Pinocchio, le Grazie, Leda e il cigno, San Sebastiano, infiniti personaggi appartenenti al mondo dell’arte, della letteratura o della agiografia, vengono scherzosamente portati in scena. “Sono e sarò sempre un dilettante” dichiara l’artista provocatoriamente. Il paradosso, il narcisismo, il gusto per il maccheronico che traspare anche dai titoli giocosi delle sue opere, sono aspetti che caratterizzano fortemente il suo lavoro.
Tuttavia è riduttivo parlare di Ontani esclusivamente in termini di gioco e artificio. In realtà siamo di fronte ad un artista colto e sofisticato che negli anni ha condotto la propria ricerca estetica in giro per il mondo cercando nella propria cultura e in quella di altri paesi, l’alimento per la propria arte.
“Le mie identità sono le identità dell’altrove, non sono nemmeno delle maschere, ma delle fisionomie di me date come maschere, di un altro che qui non c’è, esiste solo come simbolo, come segno, o come memoria di un gesto”.
Dunque Ontani non c’è, esiste solo la sua immagine, un simulacro che non rinvia ad alcuna realtà tangibile ma assume di volta in volta i mille volti di una unità nascosta è inconoscibile.
Guardando il suo lavoro il rimando ai camuffamenti di Cindy Sherman verrebbe quasi naturale. Eppure i due artisti sono profondamente diversi.Nelle performance dell’americana, che il nostro connazionale scherzosamente colloca tra i suoi “maestri postumi”, la componente ludica è meno rilevante.Sherman usa piuttosto il travestimento e la mascherata come strumento di critica della cultura statunitense, massificata e spersonalizzante, e come arma di dissenso femminista.
La sua carriera artistica inizia durante gli anni del college, nel 1975-1976, con una serie di tredici fotografie che ritraggono la sua metamorfosi da scolaretta ingenua a donna fredda e distaccata.E’ l’incipit di un percorso che la vedrà interprete di rocambolanti trasformazioni. Negli ultimi trenta anni Sherman ha assunto le fattezze più disparate.
Cambiando sesso, età, stato sociale, ha amplificato la discriminazione sessista della società americana senza paura di sconfinare nell’estetica del brutto e del grottesco.I suoi personaggi non hanno la grazia e l’eleganza di quelli di Ontani, sono maschere caratteriali che appartengono ad un mondo dai contorni grigi. Nei suoi complessi giochi di ruolo Sherman è stata casalinga, segretaria, attrice dimenticata, clown, borghese annoiata.
In queste vesti la rappresentazione oscilla spesso fra il tragico e il comico, i trucchi sono posticci e sgargianti, le espressioni esasperate. Sono performance in cui emerge tutta la banalità e il vuoto della cultura postmoderna, un vuoto a cui la Sherman si oppone con il proprio ego multiplo e frammentato.
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