“Vorrei essere al contrario per vedere dritto questo mondo storto”.
S non sapeva perché proprio in quella situazione gli era venuta in mente quella frase.
Sua mamma gliel’aveva ripetuta, fin da bambina, ogniqualvolta S si fermava a guardare quella foto, scattata al mare, con lei, piccola, sul lettino in spiaggia, e la mamma che, tenendogli le mani, le permetteva di guardare il mondo al contrario.
Ora S però, non era certo a casa a guardare la foto.
S era a scuola, in prima media, nella fila di mezzo, all’ultimo banco. Teste chine attorno a lei e la professoressa che, seduta dietro la cattedra, era intenta a leggere l’ultima fatica di uno scrittore italiano molto conosciuto. Per la verità era un personaggio televisivo prestato alla letteratura. O meglio, non era chiaro quale fosse il suo vero lavoro e non era nemmeno troppo chiaro il motivo per il quale aveva venduto così tanti libri.
Quel giorno la professoressa aveva assegnato un compito speciale ai suoi alunni.
Una settimana prima c’era stato quell’incredibile impatto alla Centrale Elettrica cittadina e ora, anche su iniziativa del nuovo sindaco K, tutte le scuole elementari e medie della Città si erano organizzate per far scrivere ai ragazzi un pensiero su quell’evento.
Ne avevano discusso nei giorni precedenti, in classe.
Quasi tutti i ragazzini finirono con l’essere d’accordo sul fatto che, considerando la fortuna di non aver dovuto contare vittime, ci fosse comunque il bisogno, da parte di tutta la cittadinanza, di stringersi attorno alle famiglie dei lavoratori per velocizzare il più possibile la ricostruzione.
S in quel momento stava immaginando cosa avrebbero potuto scrivere i suoi compagni.
Aveva capito che, nella maggior parte dei casi, i commenti dei suoi compagni di scuola non sarebbero stati altro che derivati, sintetici e asciutti, delle discussioni casalinghe sull’argomento.
S capiva anche che il lavoro, concettualmente, doveva essere una faccenda tremendamente seria. Anche a casa sua si parlava spesso del lavoro. Del lavoro del suo papà, spesso associato alla parola “precario” e di quello della sua mamma, più spesso associato alla parola “part-time”. S sapeva cosa significava quella parola.
S era una ragazzina molto attenta. Aveva parlato a casa con i genitori dell’incidente alla Centrale. Aveva anche lei subito, sicuramente, un qualche tipo di interferenza. I suoi processi di giudizio erano sicuramente influenzabili.
Eppure ricordava perfettamente come i genitori insistessero, nei discorsi, sul fatto di trovare un “equilibrio”. Sì, ricordava proprio quella parola ricorrente.
Equilibrio.
La sua mente aveva capito che, seppur importante, il lavoro doveva in qualche modo confrontarsi con questo equilibrio. Non sapeva ancora definire chiaramente rispetto a cosa ci dovesse essere equilibrio. Eppure sentiva che il ragionamento poteva risultare logico e anche in qualche modo originale.
Iniziò quindi a scrivere il suo tema, con una certa convinzione.
“Vorrei essere al contrario per vedere dritto questo mondo storto. Vorrei che i resti della ciminiera che sono caduti in mare possano servire a noi ragazzi per raggiungere un posto tranquillo da dove poter osservare l’orizzonte…”
Illustrazione di Silvia Castrati ©