Mutazioni, trasmutazioni, metamorfosi. Colori cangianti, finzione, verità e follia. Tradimento, fede, dolore, carnalità. Gioia. Per quante di queste stazioni siete solo passati e in quali siete invece scesi, perché volevate o perché costretti o perché, semplicemente, non avendo letto il cartello avete casualmente sbagliato fermata? O forse perché, inavvertitamente socchiusi gli occhi, vi siete ritrovati in paesaggi sconosciuti: sognati? Quale musica sta accompagnando il vostro viaggio? La vostra o quella che qualcuno ha scelto per voi?
Mamma mia quante domande! Ma dove vorrò arrivare? Sinceramente non lo so. Non sapevo nemmeno come introdurla. Come chi? La Bachmann. Ingeborg Bachmann. Quella del titolo. Ero talmente concentrato a scrivere l’introduzione che ho finito per farvi il terzo grado. Ma come a chi? A te, a voi o a chiunque sia apparso dall’altra parte di questo schermo, di questo testo “dattiloscritto”, giustificato e impaginato. Stavo dicendo… ah! Sì! Bachmann. Ingeborg Bachmann. Cittadina austriaca, scrittrice del secolo conclusosi già da un po’. A più di quaranta anni dalla sua morte, avvenuta il 17 ottobre 1973 nell’ospedale San Eugenio a Roma, la Sfinge Trasparente continua a incantare cuori e a sedurre menti con i suoi “Enigma” disseminati in tutta la sua produzione artistica. Qua sotto troverete una minima parte delle tante parole da lei cesellate sotto forma di poesie. Provate a dargli uno sguardo, una letta, poi ritornate. Non mi muovo!
Forti, vero? Pensate che una, “Exil” per l’esattezza, è del 1957, 12 anni dalla conclusione della Seconda guerra mondiale. Da quattro anni era iniziato il suo girovagare per l’Europa e l’Italia, nazione che le permise di esprimere e vivere il suo essere, in quanto persona poliedrica, sfaccettata, umana, alla ricerca di identità o contrasti fuori e dentro se stessa. Le esperienze vissute prima della guerra sono e saranno determinanti per comprendere una delle anime più sensibili del periodo, prima fra tutte l’apparizione nell’aprile 1938 (data dell’Anschluß dell’Austria al Reich Tedesco) di Hitler da un balcone della piccola cittadina, Klagenfurt, dove lei nacque. Lei con i suoi 12 anni vide concretizzarsi quello che tutti avrebbero ricordato e dovrebbero ricordare come uno dei più osceni crimini commessi contro l’umanità: il Nazismo.
Dell’altra, “Isola di morti”, non si conosce la data di “nascita” e è stata pubblicata in una raccolta di poesie (“Ich weiß keine bessere Welt”- PIPER, 2000) mai date alle stampe prima, curata dal fratello e dalla sorelle della nostra poetessa: “L’uomo è ferito, venduto e tradito in un mondo in cui imperversa l’assenza d’Amore, e in cui tuttavia non si abbandona la speranza che il Tempo, in cui gli uomini ne saranno di nuovo muniti, arrivi.” – “Terra nova…ultima speranza”, ammoniscono e auspicano nella prefazione alle poesie presumibilmente scritte fra il 1962-1964 (l’ultima frase in corsivo è di Gaspara Stampa, scrittrice italiana vissuta nella prima metà del XVI secolo.
Prosa, poesie, sceneggiati radiofonici e libretti d’opera che raccontano di una società fredda, che non riconosce se stessa per quello che è, priva di vera identità, (edu)castrante, che relega l’individuo e i sentimenti in angoli dimenticati dall’umanità, munito solo di fugaci e profonde escursioni nel Piacere bello e amaro della vita, escursioni il cui ritorno si spegne nella più cupa solitudine di una sigaretta fumata al letto. Fumi si librano volteggianti in aria. Disegni da osservare mentre svaniscono risucchiati nel Nulla. Qualcuno forse la stava aspettando, da quelle parti. L’ennesima nave sarebbe salpata alle 21 dal porto della città e molti avevano già prenotato il loro posto sull’isola. Girava voce che fosse piena di ricchezze, tesori nascosti, che chi vi andava non avrebbe fatto più ritorno, tanto era bella.
Decise di imbarcarsi. Magari in quel lontano, remoto sito dimenticato dagli uomini avrebbe… cosa? Sì, ma, questa, è un’altra storia.
Exil
Un morto io che vago muta
in nessun luogo più annunciato
sconosciuto al Regno del Prefetto
di troppo in città dorate
e sulla terra verdeggiante
da molto già respinto
e da nulla riparato
Solo dal vento da un timbro dal tempo
che non posso vivere tra umani
Io col tedesco
di questa nuvola attorno
che considero casa
mi trascino tra le lingue
Oh! e come si livida
cupi rumori di pioggia
solo poche cadono
E poi il morto eleva a più luminosi lidi.
Isola di morti
Io debbo credere, che
questa paranoia, questa galera
per l’eternità valga
le tante ore, in cui da sola
elessi il mio Papa
e fumo cupo
si levò,
(quella una candela, no,
col bianco)
in cui tutti i miei sogni
erano chiusi in Conclave
e tutti votarono contro
il mio, il più rabbioso, naufragato
sogno,
che non avrebbe certo a se
stesso creduto, né saputo,
di regnare proprio su tutto questo
su sporco, oro,
sperma, isole di morti
Exil
Ein Toter bin ich der wandelt
gemeldet nirgends mehr
unbekannt im Reich des Präfekten
überzählig in den goldenen Städten
und im grünenden Land
abgetan lange schon
und mit nichts bedacht
Nur mit Wind mit Zeit mit Klang
der ich unter Menschen nicht leben kann
Ich mit der deutschen Sprache
dieser Wolke um mich
die ich halte als Haus
treibe durch alle Sprachen
O wie sie sich verfinstert
die dunklen die Regentöne
nur die wenigen fallen
In hellere Zonen trägt dann sie den Toten hinauf
Toteninseln
Ich muß glauben, daß
dieser Irrsinn, dieses Gefängnis
für die Ewigkeit währt
die vielen Stunde, als ich
meinen Papst mir wählte
und dunkler Rauch
aufstieg,
(die eine Kerze nicht,
mit dem weißen)
als alle maine Träume
im Konklaven waren
und alles stimmte gegen
meinen, wütendsten gescheiterten
Traum,
der hätte ja selber sich
nicht geglaubt, und gewusst,
daß über all das zu herrschen
über Schmutz, Gold,
Samen, Toteninseln