Periodicamente il Bel Paese si innamora di un nuovo miracolo in medicina. Le caratteristiche comuni di questi miracoli sono sempre le stesse: una presunta azione di boicottaggio da parte dell’industria farmaceutica, la totale mancanza di dati scientifici attendibili, il bluff che si rivela non appena si puntano si accendono i riflettori.
I casi Di Bella periodicamente rifioriscono.
A maggio 2013 tredici esperti nel campo delle cellule staminali lanciano l’allarme sul caso Stamina dalle pagine della rivista della European Molecular Biology Organization (pubblicata dal gruppo editoriale di Nature). Il problema è di politica sanitaria: l’Italia sta creando un pericoloso precedente.
Il progetto Stamina è gestito da una omonima fondazione, presieduta da Davide Vannoni, un laureato in Lettere e Filosofia con una carriera nel campo delle indagini di mercato. Due biologi ucraini vengono assoldati dalla fondazione per sviluppare un progetto commerciale, che non viene sottoposto ad un normale iter di sperimentazione (dolorosa ma necessaria) su animali da laboratorio e in vitro: si parte direttamente sui malati.
Pazienti con malattie neurologiche severe, diverse per tipologia e gravità, vengono avviati ad un trattamento non autorizzato e privo di un vero protocollo scientifico, andato poi avanti per mesi.
Il trattamento prevede l’infusione endovenosa ed intracranica di una sospensione di cellule staminali (ossia cellule immature), definite MSC (Mesenchymal Stem Cells).
La modalità di preparazione in vitro delle cellule è uno dei primi punti critici, in quanto la tecnica “innovativa”, per la quale è ancora pendente una richiesta di brevetto europeo (già rigettata negli USA), è in realtà una versione riadattata di una banale metodica di laboratorio, piuttosto sbrigativa ed assolutamente inadatta allo sviluppo di cellule staminali a scopo terapeutico. In altri termini è una tecnica pericolosa per la trasmissione di malattie infettive e per il possibile rischio di indurre neoplasie nei pazienti.
Con una leggerezza sorprendente, l’ospedale di Trieste prima e gli Spedali Riuniti di Brescia in seguito (sembra per interessi personali di alti dirigenti delle due aziende sanitarie), firmano un accordo con la Fondazione Stamina ed avviano la sperimentazione a spese del Sistema Sanitario Nazionale. Questo finchè i NAS dei Carabinieri non intervengono a mettere i sigilli.
Un’impressionante azione mediatica si scaglia allora in difesa del progetto, senza porsi troppe domande grazie anche al demente sostegno dello show televisivo de Le Jene, con l’inconsapevole contributo di personaggi dello sport e dello spettacolo ed il contorno di proteste e sit-in di piazza. Il duro attacco al mondo scientifico istituzionale, condito delle solite accuse alla casta dei medici, alla stessa Agenzia Italiana del Farmaco ed al Ministero della Salute fanno da comburente ed esplode il caso mediatico.
L’uso della retorica è abbondante. Come negare le cure a dei bambini malati? E se i pazienti peggiorassero a causa dell’interruzione del trattamento? L’azione del Governo, forzato dal consenso a decidere in tempi rapidi, è raffazzonata e pressappochista: si autorizza il prosieguo delle cure a coloro i quali le hanno già intraprese, chiedendo unicamente una più ortodossa manipolazione delle cellule in laboratorio. In assenza di prove di efficacia e di test di sicurezza. Quando il Decreto del Ministero della Salute passa al vaglio del Senato, le prescrizioni riguardanti la manipolazione delle cellule e qualunque riferimento a successive regolamentazioni del campo vengono cancellati. L’autorizzazione al completamento dei trattamenti in corso si allarga ad un indefinito numero di ulteriori pazienti per un periodo complessivo di 18 mesi. Non paghi della catastrofe si mette giù anche il carico di briscola: la terapia con cellule staminali viene sottratta alla giurisdizione dell’AIFA ed arbitrariamente assimilata al trapianto di cellule e tessuti. Questa decisione contraddice tutta la giurisprudenza europea in merito e sottrae Stamina dai rigidi sistemi di monitoraggio delle terapia in fase sperimentale. La discussione del provvedimento passa quindi alla Camera dei Deputati, che lo mette in calendario per maggio 2014, sempre che questo Parlamento duri in vita sino ad allora.
Non si può non stigmatizzare due tratti salienti della vicenda: l’atteggiamento dei pazienti e quello del Governo.
Chi fa il mio mestiere è abituato a pazienti che non rispettano le prescrizioni di farmaci tradizionali, perché sospettosi ed atterriti dalla lettura dei bugiardini. Si tratta degli stessi pazienti che poi si infatuano dei più criptici integratori (magari acquistati in palestra) o, peggio ancora, di cure che non hanno avuto la benché minima validazione scientifica. La disperazione indotta dalla malattia cronica è certamente un’attenuante notevole, ma qui dovrebbe entrare in gioco il Governo, che dispone di un’autorevolissima Agenzia del Farmaco (AIFA). La guida politica del Paese dovrebbe prendere decisioni lucide ed improntate al più assoluto rigore scientifico. Possiede gli strumenti tecnici per farlo ma ancora una volta decide di non usarli e di scegliere con gli occhi alle urne, come certi genitori troppo preoccupati di risultare simpatici ai propri figli adolescenti per trovare la forza di imporre loro delle regole.
Non è con un si, debole ed opportunista, che si guadagna il miglior futuro per i propri concittadini malati. Ma forse a questo Governo interessa solo arrivare a maggio con qualche consenso in più.
Foto di Enrico Paravani ©