Ho una vita da gitano, che mi porta a vivere gli aeroporti come un’abitudine, il volo come collante per i tanti angoli della mia esistenza, gli affetti e le radici.
Ennesimo passaggio in aeroporto, quindi, poche ore fa. Seduto ed assorto nella lettura (uno di quei best seller che giocano la carta della pubblica denuncia delle private gesta della casta) il passato Presidente della Camera Luciano Violante. Intorno a lui solo sedie vuote, in una sala d’aspetto affollata. E, la cosa mi stupisce, intorno a lui non vedo traccia di pretoriani di scorta.
Il volo è in ritardo, ancora una volta. Decido di sedermi e, provocatoriamente, scelgo esattamente la sedia accanto alla sua, kefiah al collo e libro tra le mani.
Non è solo, il nostro uomo di Stato. Pronti arrivano due pretoriani attempati, in abiti casual. Mi scrutano come se perlustrassero un cassonetto. Non devono giudicarmi un pericolo e mi lasciano lì, pur senza perdermi d’occhio.
I miei pensieri si azzuffano. Una parte di me vorrebbe provocarlo, cogliere l’occasione per porgergli interrogativi e critiche. Quest’uomo è stato Presidente della Commissione Antimafia ed ha ammesso di aver ricevuto inviti ad incontri “a quattr’occhi con Vito Ciancimino” in quell’orribile 1992. Ma un altro me mi frena, invitandomi a non perdere tempo ed energie a spingere fuori dall’ombra una coscienza assopita: l’ennesimo magistrato che ha trascorso una carriera lontana dai tribunali, sui velluti ben retribuiti delle stanze di governo.
Rifletto sulla scelta del cittadino Luciano di viaggiare low cost: un pensionato di lusso, con lauti trattamenti previdenziali disposti a strati ed indispensabile fondazione da presiedere, vola come un comune italiano alle prese con la crisi. E’ solo tirchieria o magari è l’orario del volo ad attrarlo?
Ora basta, si decolla. Lascio il mio posto accanto all’Italia che conta.
Neanche un’ora e siamo a Torino. Giù dal pullman sotto la pioggia e via verso l’uscita ed ecco altri due baby sitter da questura (mi domando se li montino in serie, così tutti uguali). Li apostrofo, scherzando, proprio così, ma non capiscono. Non sono selezionati per arguzie. Sono cani da pastore.
Via all’aria aperta. Mi manca il fiato. Pochi secondi e smetterò di pensarci.
Un ricordo che arrugginirà presto: il Paese che protegge i suoi pezzi pregiati. Lo stesso Paese che non protegge i giovani, gli anziani e quelli che restano indietro, caro il mio democratico Lucianino.
Foto di Enrico Paravani©