“C’è una cosa che in prigione s’impara: mai pensare al momento della liberazione, altrimenti c’è da spaccarsi la testa nel muro. Pensare all’oggi, al domani, tutt’al più alla partita di calcio del sabato; ma mai più in là. Prendere il giorno come viene.”
John Steinbeck, Furore, 1939
Tic tac, tic tac, tic tac, il tempo scorre come acqua tra le dita, vorresti fermarlo o farlo scorrere più in fretta… Ci sono attese che vorresti evitare, pensando ad altro, allora ti vengono in aiuto gli amici, provi ad uscire di sera, una birra in compagnia, risate, battute, ma niente, la testa sempre lì, fissa sull’appuntamento che perfora lo stomaco.
Provi a leggere un buon libro, accompagnato da una buona dose di musica, di quella tosta che fa andare la mente lontano, apri la prima pagina, la leggi tutta, nelle orecchie si scatenano decibel di rock durissimo, e… Pensi se è tutto a posto per quel momento che attendi da sempre.
Niente da fare! Meglio rifugiarsi nella cosa che mai ha tradito la personale carenza d’affetto: il cibo! Apri il frigo, maionese, carciofini, tonno, pomodorini pachino, acciughe, un mega panino riempito anche da una buona dose di autostima e pace col mondo… Lo addenti: non è che mi appesantirà troppo? E domani poi non ho pure le visite preventive?
Uff, il tempo non passa, le ansie aumentano, senti le mani prudere, le gambe non star ferme un attimo, la notte si dorme poco e male, e il nervosismo si percepisce lontano un miglio.
Il tempo, a volte, è proprio bastardo, riesce a farti stare in balia delle attese, riesce a farti vivere solo per una cosa, che sai bene non accadrà ora, ma è dentro di te e ti morde il polpaccio quasi a ricordarti che la vita è fatta di attimi che si scolpiscono nella mente e le scalpellate che stai prendendo ora fanno un male cane.
C’è chi del tempo ne è schiavo, chi padrone e chi ne è irrimediabilmente schiacciato.
Per alcuni il tempo cammina, per altri corre, per altri, ancora, è fermo.
Già! Chi sa che è fermo, di solito si trova in un luogo angusto perimetrato da mura spesse, come il suono sordo della Solitudine, un luogo fatto di rumori clangheggianti di serrature a doppia mappa, di ranci comunitari, di attese, di privazioni vessatorie e di mani che non trovano altro che ordini.
È il tempo immobile del detenuto, del recluso, del circondariale.
In questi ultimi giorni si parla sempre di più di amnistia, di indulto, di “astruse e sconosciute” forme di libertà “preventiva”, il Napo orso Litano, l’ha invocata a gran voce, anzi con “viva e vibrante soddisfazione” e stavolta sembra proprio che abbia detto una cosa di sinistra.
Il Giustizialismo, si sa, ha generato più danni che rimedi, le nostre carceri sono al collasso, da decenni, il fenomeno dell’ingiusta detenzione (gli errori giudiziari), i suicidi in carcere, hanno raggiunto cifre apocalittiche, eppure si continua la perversa spirale dell’arresto a prescindere, certo ci sono tutte le garanzie che uno Stato di Diritto permette di mettere in campo, però ci si trova con le celle al limite della decenza e con persone, mi piace definirli così e non detenuti, che si trovano a vivere, nella migliore delle ipotesi, una situazione di gogna reazionaria , che nulla ha a che vedere con i buoni propositi Beccariani riguardo il recupero della persona e il reinserimento di chi, per una volta, ha sbagliato.
È strano come non si pensi ad una diversa forma di reazione di fronte agli stessi episodi, c’è chi applaude di all’uso smodato delle manette e chi s’indigna per l’accusa ad un politico pluricondannato… Mai una via di mezzo.
Mi sorge un dubbio atroce: il sonno della ragione genera mostri! Più manette per i soliti noti, poi, se si tratta di un errore giudiziario il tempo dirà sempre la sua e la versione non sarà mai quella che ci si aspetta!
Tornando al discorso del TEMPO è ora di decidere cosa fare da grandi, soprattutto dal punto di vista delle detenzioni, le statistiche parlano chiaro: nessuna cella ha mai ridato al Paese un uomo libero.
Ricondurre l’amnistia ad una mera questione berlusconiana, facendo sorgere il dubbio che il sovraffollamento delle carceri poco c’entra con le questioni umanitarie, è un gioco squallido.
Questo è il momento giusto per riappropriarci della nostra UMANITA’ tenendo conto che, a detta di Luigi Manconi senatore del Pd, presidente della commissione tutela diritti umani: “la recidiva, cioè chi è tornato in carcere, tra quelli che hanno beneficiato dell’indulto nel 2006 è stata di molto inferiore rispetto a chi ha scontato tutta la pena in cella: praticamente la metà: il 34% contro il 68, e tra gli stranieri meno del 29%”, anche i numeri hanno un loro peso e stavolta potrebbe essere veramente essenziale sul piatto della bilancia.
È tempo di aprire le porte, quel tempo che non ha più senso lasciare immobile, rinchiuso in quattro mura.
Tic tac, tic tac… Il mio tempo vola, mettiamo le ali anche al tempo di chi non può nemmeno immaginare di camminare… Mi siedo sul divano… Lo sguardo è fisso sulla mia finestra senza grate, silenzio… Attesa.
“Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni.”
Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo, 1866
Foto di Enrico Paravani©
3 Comments
massimopantanelli
10/10/2013 at 16:48“Ricondurre l’amnistia ad una mera questione berlusconiana, facendo sorgere il dubbio che il sovraffollamento delle carceri poco c’entra con le questioni umanitarie, è un gioco squallido”… Enrico parlando di tempo questo “gioco squallido” verrebbe meno semplicemente votando l’ineleggibilità di Berlusconi, prima, e tutti vissero felici e contenti…
enrico
10/10/2013 at 18:19o vivremmo felici e contenti?
massimopantanelli
12/10/2013 at 09:11la mia felicità dipende dal mondo degli affetti qui si parla di altro, qui si discute dello Stato che non riesce a dare di sè una immagine di Stato di diritto.