Mercoledì 20 Novembre – Sinai settentrionale, una manciata di km da El-Arish, vicino al confine egiziano con la Striscia di Gaza.
Squilla il telefono dell’autista. Risponde, parla, riattacca la chiamata.
“La strada è chiusa.”
“Perché?”
“C’è stato un attacco.”
I pluriennali assedio e blocco israeliani alla Striscia di Gaza, recentemente coadiuvati dalle politiche egiziane post Morsi, hanno reso assai complicata la possibilità di raggiungere quella che nient’altro è se non la più grande prigione a cielo aperto del mondo.
Dal Cairo a Gaza vuol dire raggiungere il valico di Rafah, unico reale punto di accesso alla Striscia, attraversando la penisola del Sinai, ovvero la parte più instabile dello Stato egiziano e una delle aree al momento più delicate del Medio Oriente. Quindi, essendo in possesso di tutte le autorizzazioni e liberatorie necessarie, dai permessi del Cairo Press Center ai documenti dell’Ambasciata Italiana e del Ministro dell’Interno egiziano, ma soprattutto essendo il valico di Rafah aperto dalle autorità egiziane (cosa più unica che rara nell’ultimo periodo), modus operandi vuole che non ci si pensi due volte a prenotare un taxista di fiducia che riesca ad attraversare nel minor tempo possibile il Sinai settentrionale.
Partendo dal Cairo, la penisola del Sinai inizia geograficamente con il ponte carrabile che rende possibile il passaggio sul canale di Suez.
Negli ultimi mesi, a seguito dell’intensa attività dei guerriglieri armati nella penisola e dei numerosi attentati che vi hanno avuto luogo, il ponte è stato chiuso al passaggio. Ecco allora che, per attraversare il canale, bisogna imbarcarsi su una chiatta che permette di raggiungere la riva opposta e continuare la propria strada verso la Striscia di Gaza.
Continuando attraverso il Sinai, tappa fondamentale per arrivare al valico di Rafah è il passaggio nei pressi di El-Arish, città dell’omonimo governatorato che dista circa una decina di km dal confine con la Striscia. Decina di km che però si può trasformare nella parte più lunga del viaggio, dovendo attraversare una fastidiosa serie di checkpoint militari.
Pensando di aver già abbondantemente superato qualsivoglia rischio del viaggio, essendo partito dal Cairo alle 3 di notte ed avendo corso l’azzardo di attraversare gran parte del Sinai di notte ponendo così il fianco a possibili assalti di gruppi armati, era logico pregustarsi già una trionfante attraversata del Sinai senza alcun problema e un incolume arrivo al valico di Rafah.
Se non che, a una manciata di km da El-Arish, l’autista riceve una chiamata.
“La strada è chiusa.”
“Perché?”
“C’è stato un attacco.”
E non un semplice attacco. Il “bello” di trovarsi nei pressi di El-Arish, a pochi km dalla Striscia di Gaza, è che sei tagliato fuori dal resto del mondo, telefoni quasi sempre senza campo, nessuna possibilità di comunicare.
Ma in questo caso forse non è stato proprio un male: sapere al momento che un paio d’ore prima, proprio nel posto in cui sei costretto a passare, si è verificato uno dei più grandi attacchi contro l’esercito egiziano (11 morti, 35 feriti) dalla deposizione di Morsi, sarebbe stata solo un’inutile pressione psicologica in più.
E’ già abbastanza sentirsi dire che la strada è chiusa dopo 7 ore di macchina nel deserto.
“In che senso chiusa? Tra El-Arish e Rafah? Non si può passare?”
“Già.”
“E il valico di Rafah è ancora aperto?”
“Non lo so. Adesso cerco un’altra strada.”
Sentirsi dire che il valico di Rafah potrebbe essere stato di nuovo chiuso a tempo indeterminato proprio quando sei a pochi km da esso dopo essere riuscito ad attraversare incolume il Sinai di notte, non è decisamente una notizia che ti permette di godere il paesaggio di dune di sabbia e palme che ti passa fuori dal finestrino della macchina, mentre percorri stradine leggermente sterrate all’interno del deserto.
Ma visto che la fortuna e i taxisti di fiducia (che se si fanno pagare quasi la metà in più di tutti gli altri c’è un motivo) aiutano gli audaci, ecco che dopo un’ora scarsa di tragitto mi si apre davanti, in tutto il suo splendore, l’agognato valico di Rafah. E con la miglior notizia che si possa desiderare: ancora aperto.
Martedì 19 Novembre – Il Cairo
Cinque giorni dopo che in Egitto è stato revocato lo stato di emergenza nazionale, le piazze del Cairo sono tornate a riempirsi e le proteste si sono riaccese.
A piazza Tahrir e nelle piazze circostanti, come Talaat Harb Square, la folla è tornata in strada a sfidare l’oligarchia militare che ha deposto l’ex presidente Morsi ai primi di Luglio.
Ma, dovendo partire alle 3 di notte per raggiungere il valico di Rafah, logica e pigrizia vogliono che io scatti semplicemente un paio di foto dalla finestra. La giornata è già abbastanza piena con il preparare tutto quanto necessario per lasciare il Cairo e raggiungere la Striscia di Gaza. Anche se, a volte, le piccole dimenticanze possono costare caro.
Mercoledì 20 Novembre – Dentro il valico di Rafah, lato egiziano.
Essendo in possesso di tutte le liberatorie necessarie per transitare da Rafah, ormai gli ultimi controlli che bisogna superare sembrano essere pura formalità.
Sì, apro con piacere le valigie per far ispezionare il contenuto, passo con piacere attraverso il metal detector, non mi pesa più di tanto neanche l’idea di dover pagare 105 pound egiziani come “tassa d’uscita” dal paese.
Un po’ meno piacere lo provo quando l’ufficiale mi chiede di aprire il marsupio per ispezionarne il contenuto. Leggasi ispezionare il contenuto della macchina fotografica quando ci si rende all’improvviso conto di non aver cancellato dalla memoria le foto scattate il giorno prima.
“Dove hai scattato questo foto?”
“Sono di ieri?”
“Perchè vai a Gaza? Che lavoro fai? Cosa vai a fare a Gaza? Qualcuno da Gaza ti ha chiesto di scattare queste foto? Posso vedere le tue liberatorie?”
Il tutto mentre, con il passaporto mezzo sequestrato, si viene spostati da un ufficio all’altro a parlare con diversi membri della polizia di frontiera e dell’intelligence egiziana.
Fortunatamente, dopo il primo quarto d’ora di interrogatori, è chiara che l’intenzione degli ufficiali è solamente quella di “voler controllare ma neanche più di tanto”. Infatti, dopo quasi un’ora e mezza di vari interrogatori ecco che il passaporto mi viene riconsegnato e posso dirigermi al lato palestinese di Rafah.
Cenni preliminari sull’attuale situazione della Striscia di Gaza
La mancanza di carburante ha portato alla mancanza di energia elettrica (4-6 ore di energia al giorno) anche per gli impianti di servizi civili di prima necessità, come ospedali, impianti fognari e di pompaggio dell’acqua (comunque non potabile).
Il quartiere di Zaytoun a Gaza City è da 10 giorni sommerso dalle acque reflue fuoriuscite a causa del non funzionamento dell’impianto fognario.
Da un mese a questa parte, non è permesso neanche importare il materiale da costruzione primario, cosa che ha comportato lo stop dei lavori di ricostruzione e la perdita di lavoro per oltre 40.000 lavoratori nel già fievole settore edile.
Il tutto mentre aerei F16 israeliani passano a bassa quota sui cieli della Striscia.
La situazione attuale della Striscia di Gaza non è frutto di calamità naturali o catastrofi improvvise, ma è il risultato di una volontà politica ben precisa, quella di Israele, che ne controlla i confini marittimi, terresti e lo spazio aereo, finalizzata all’umiliazione e all’esasperazione di un’intera popolazione.
La stesura e l’invio di questo articolo sono stati ritardati dalla mancanza di energia elettrica.
Foto articolo di Marco Varasio ©
Foto di copertina di Enrico Paravani ©