Sapete a cosa stavo pensando? Stavo pensando ad una cosa tristissima e cioè che sono seduta qui da ore.
Conosco intimamente ogni saldatura delle sedie che ho di fronte, contato le volte che la signora affianco ha pronunciato il nome di Paolo dando per scontato che pure nel Wisconsin sappiano chi sia ‘sto Paolo, chiesto ripetutamente all’infermiera notizie sulla signora bassa che ho accompagnato (al secolo mia madre) e, naturalmente, assistito a scene di puro e tradizionale isterismo da sala d’aspetto del Pronto Soccorso di Civitavecchia.
Sinceramente non so mai da che parte stare quando qualcuno, dopo un giorno di sfibrante fila, esonda e si scaglia contro l’infermiera che con una mano registra i pazienti, con l’altra misura la pressione ad una vecchietta in fondo al corridoio, con un piede preleva il sangue al solito ubriacone e con l’altro rianima l’unico medico di turno stramazzato a terra dopo le sindacali dodici ore di servizio.
E mentre ognuno dice la sua a proposito dell’inefficienza del PS autoctono, lodando e glorificando gli ospedali di Roma, di Tarquinia e del Burkina Faso, arriva l’infermiera di prima che, sul bordo di una depressione irreversibile, annuncia l’habemus diagnosi. Mi alzo e qualcuno bisbiglia: “Non è giusto, io sono arrivato prima”. Sto per voltarmi ed offrire di andare al posto mio a sincerarsi delle condizioni di mia madre, ma sto zitta, oggi voglio tornare a casa senza aver insultato il mio irritante prossimo, posso farcela.
Entro nel cuore del PS.
Un lungo corridoio con una decina di porte dentro le quali ci sono pazienti stipati come polli in una filiera, pronti per essere spennati e lanciati in un macchinario che li farà diventare cotolette. Un vecchietto, probabilmente scappato da anni dalla morsa della ragione, si agita sulla barella e fa ballare tutte le altre: sono praticamente attaccate alla sua in stile tetris. Su una di quelle c’è mia madre. Abituata com’è a questi soggiorni ormai non si lamenta più.
Nella terza stanza, una vecchietta è immersa in un liquido del quale immagino la fonte, ma preferisco omettervela. In braccio ha un altro paziente di una quarantina d’anni che mi guarda e silenziosamente mi chiede: “Ma sono morto e questo è l’inferno?”
La seconda infermiera in servizio schizza di stanza in stanza, ha in mano almeno una decina di boccette per le flebo, è un albero di Natale, le pendono pure dai capelli. Dalla porta in fondo al corridoio, una mandria di parenti sbraita per entrare, ma a fare cosa non è dato saperlo.
Mi fiondo dal dottore. Un dodicenne che ospita sul viso i segni di almeno due notti insonni. Chiedo: “Come sta?”
E lui, come un automa risponde: “Sua madre presenta…”
“No, guardi, non parlavo di mia madre, mi riferivo a lei, lei, dottore, come sta?”
Impallidisce, forse nemmeno lui lo sa, sente di avere un corpo ma non ricorda dove. Comunque non è abituato a sentirsi rivolgere domande simili. Lo faccio sedere, gli do due minuti per sospirare e poi mi informo sulle condizioni della mia genitrice.
Tranquilli, niente di grave, il solito giro in Pronto Soccorso. Avevamo otto ore da buttare e le abbiamo passate lì, nella terra di nessuno dove la ASL non può piantare personale perché non ha i soldi, però è riuscita a piantarci un inutile televisore al plasma e una nevrotica porta automatica che si apre e si chiude ad ogni starnuto.
Sentitevi male il meno possibile, mi raccomando.
Foto di Enrico Paravani ©
10 Comments
Antonio
09/01/2014 at 16:35ho letto l’articolo
poi sono sceso ai commenti
e c’è scritto: “Non ci sono commenti.”
anche il blog esprime il suo disgusto, di suo:
Non ci sono commenti…
massimo
09/01/2014 at 20:41…basta che la gente pensi.
Lauryn
10/01/2014 at 08:54grazie dell’augurio. anche io ho un po’ di esperienze di pronti soccorso ed ho imparato la tolleranza…verso i dottori e le infermiere 🙂
Francesca Luciani
10/01/2014 at 13:47Sì, non è possibile prendersela con chi alla fine subisce la mancanza di responsabilità di chi sta in alto. Loro fanno quello che possono, ma non sono ancora attrezzati per i miracoli. :/
Reset
11/01/2014 at 09:59ho avuto la stessa sensazione di desolazione inoltrandomi in questo blog. come se poi avere un computer e fregiarsi dell’aggettivo di ultima coniazione quale blogger dia alla gente il diritto di erigersi a qualcosa di superiore, quando in realtà tutto si risolve nella classica maniera italiana e soprattutto civitavecchiese del pettegolezzo. Sono anni che il nosocomio cittadino soffre per contrazione di personale, cosa che sicuramente non si risolverà con un pensierino telematico, come nel caso di tutti gli argomenti trattati….. ma continuiamo a far valere i nostri diritti nelle sedi che ci assicurano qualche lustro piuttosto che nei luoghi opportuni. qui le lamentele non servono più oramai abbiamo bisogno di soluzioni.
Giulio Santoni
11/01/2014 at 17:39Avevamo la necessità di critiche, sopratutto da chi non riesce neanche a mostrarsi. La blogger forse è blogger perchè lo fa di professione e non perchè vuole o si sente superiore a qualcuno. I nostri pensierini telematici, sopratutto per gli altri argomenti trattati, sono lo specchio di chi giornalmente si impegna ad una modifica della società civile che tanto è degradata. Forse, caro anonimo, se rileggi bene tutti gli articoli le soluzioni le stiamo dando, ma di certo non possono essere recepite da chi non riesce a mettere la faccia nemmeno su un commento.
Francesca Luciani
13/01/2014 at 15:39Ho letto solo ora questo interessante commento e vorrei suggerirle di prendere le dovute informazioni prima di premere il grilletto.
Sono blogger professionista non da ieri, ma da sei anni, per cui sì, mi fregio di questo “aggettivo”. Spero non le arrechi alcun danno alla persona, in tal caso mi scuso, sarà mia premura aggettivarmi come lei riterrà più opportuno.
In ogni caso, sempre se scava nei miei trascorsi, con il nosocomio cittadino ho delle questioni aperte da tempo, anche legali, per cui il mio pettegolezzo è ben supportato da azioni concrete che mi hanno tolto dieci anni di vita e parecchi denari dalle tasche, tutto perché quello che è successo a me non capiti ad altri.
E poi, come è stato già detto, le mie parole sono accompagnate da nome, cognome e viso, le sue? Dall’anonimato. Direi che questo dimostra quanto crede in ciò che scrive.
Sergio Scanu
12/01/2014 at 01:02Meglio i pensierini telematici con nome e cognome rispetto alle critiche ai pensierini in forma anonima. Critiche per giunta generalizzanti. Reset resetta e metti l’identità poi ne riparliamo.
Paola Angeloni
14/01/2014 at 22:44Reset non ha bisogno di dire il nome, non dice niente…non è un medico, non è un paziente.. almeno spero.
Giulio Santoni
15/01/2014 at 09:41🙂