Antonio Cozzolino esce di casa, come tutte le mattine.
Senza scorta, nè auto blu, il Sindaco di Civitavecchia va al lavoro senza protezione alcuna, convinto di amministrare una città “normale”, come tante.
Non bada alle tante minacce ricevute. “A Pie’, se te serve so armato” scrive qualcuno sulla pagina Facebook del già sindaco Pietro Tidei, senza che il politico ritenga di censurare tale affermazione.
“Je do’ na cortellata“, qualche tempo prima.
E ancora “Metterò sotto co la macchina er Sindaco, così lo sdraio“…
È sereno Antonio, nonostante tutto. Non sa ancora che sotto casa troverà un dipendente di Civitavecchia Infrastrutture, pronto ad afferrarlo per il collo, strattonarlo, sbatterlo contro il muro.
Chiede uno stipendio che non arriva, l’energumeno.
Uno stipendio impigliato in una procedura di liquidazione che sta chiudendo la storia delle partecipate nella quale la politica ha assunto figli, amanti, mogli ed ex assessori, senza cura dei costi e dei bilanci.
Ora, per l’Italia intera, il mostro è il dipendente violento. Tutto il Paese ne parla.
Si guarda al dito e non alla luna.
Ma chi ricorda oggi quel Gramellini che aveva dato ad Antonio del pazzo, sol perchè il suo Segretario Generale aveva osato chiedere l’intervento del Prefetto Gabrielli per arginare le pressioni dell’Opposizione su una Commissione di gara? Chi ricorda che lo stesso Gabrielli aveva poi dato ragione a Cozzolino e Cordella? Nessuno.
Chi ricorda quel Mecozzi che tuonava “ Il Sindaco chieda scusa ai lavoratori per gli stipendi in ritardo“, poche ore prima della becera aggressione? Ancora nessuno. Nessuno neanche bada a cancellare adesso quell’uscita cosi inopportuna…
Ed ecco che la politica che ti ha fatto assumere ora ti indica chiaramente il colpevole del guasto che ha fermato la tua corsia preferenziale. Eccolo il capro espiatorio che “in un clima da basso impero o da alto medioevo“ (ancora lo stesso Tidei) è responsabile del fallimento della bella creatura che ti aveva donato un posticino comodo e ben pagato.
“Distruggilo! Annientalo!” urlano le voci rilanciate dai giornali di famiglia.
“Cancellalo per sempre, perchè noi non ne siamo stati capaci!” grida la propaganda del regime.
Roma va al voto e il M5S fa paura. Civitavecchia è il palcoscenico sul quale si gioca il duello finale ed è su quel palco che il golem va fermato, ad ogni costo.
Accorrete giornalisti e opinionisti! Uniamo gli sforzi a difesa del regime! Scendete in piazza, voi disperati! Abbattete il nemico con ogni mezzo!
Ed ecco Antonio che apre il portone di casa.
Dietro la porta, la rabbia finalmente prende corpo, mesi di lavoro arrivano ai frutti. Ma… Cosa non ha funzionato? La rabbia non è quella del poveraccio di turno, del ragazzo di San Liborio con tanti crediti nei confronti della vita. Dietro la porta c’è l’imboscata del rampollo di “buona famiglia”.
Non lo avevano previsto.
La manovra degli “esperti” ancora una volta si rivela un disastro ed all’autogol mediatico si aggiunge l’ennesima macchia all’immagine degli intoccabili.
Antonio ha la forza delle persone miti. Non reagisce. Raccoglie la sciarpa e il borsello, si fa medicare e ritorna al lavoro. I lividi, ancora una volta, si stampano sul viso degli “involontari” mandanti.