Un brivido lungo la schiena, la colonna vertebrale che inizia a gelarsi fino alla testa, il cuore impazzito, nausea, giramento di testa e vomito!!! La lingua non vuole uscire, la confusione, le orecchie che non percepiscono più le voci.
Ebbene sì, questo è l’inizio della mia prigione, il mio primo attacco di panico.
Gli occhi sgranati di chi ha pensato di morire e che non potrà più dimenticare.
Sono ormai passati 14 anni da quel giorno e lo ricordo come fosse oggi.
Perché vi sto raccontando questo? Perché so che molti di voi, anzi moltissimi, hanno avuto la mia stessa esperienza e che purtroppo molti di voi dovranno conviverci per il resto della propria vita come faccio io.
E la parola giusta è proprio “convivere”
Vi racconto la mia storia perché agli occhi di molti risulto un duro, uno stronzo, uno di quelli che se ne sbatte di tutto e tutti e che non ha mai paura. Chi mi conosce ha imparato a convivere con questo lato del mio carattere ma ha anche imparato a conoscere le fragilità di un uomo che ha capito di non essere né immortale né invincibile.
Ve la racconto perché sento la necessità di aiutare chi come me è schiavo delle scuse che deve inventare per non andare in un posto, per non mangiare qualcosa, per non bere qualcosa, per non camminare in una strada affollata o mettersi in macchina in una strada trafficata.
Io sono come te, e come noi ce ne sono tantissimi, oggi più che mai.
Ho provato con gli ansiolitici per un breve periodo una decina di anni fa, poi la psicoterapia.
Nel mio caso le medicine non hanno funzionato (non sono un medico e posso parlare solo per me), mentre la psicoterapia mi ha aiutato a capire qualcosa di più profondo, ma tutti i passi importanti li ho fatti con me stesso e con le persone che avevo vicino.
La cosa più importante che ho capito è che non me ne dovevo vergognare, quindi ho sempre raccontato tutto a tutti. Li ho resi partecipi dei miei disagi, ci abbiamo scherzato sopra e quei draghi (così li chiamo) sono diventati meno terrificanti.
Non vi nascondo che ancora oggi provo raccontare scuse stupide per non fare qualcosa, ma so anche che non serve a nulla.
La medicina più forte che ho trovato è stata parlare chiaro a me stesso e agli altri, ho così iniziato a vivere meglio e senza reprimere tutto dentro di me.
Oggi sono un uomo felice e quello che vedete è il risultato delle cose belle e di quelle brutte che ho vissuto.
Sono la sintesi delle mie esperienze e mi piaccio molto così.
Devo dire grazie anche alla mia prigione, mi ha reso quell’uomo che ora sono.
Ho vinto.
Foto Enrico Paravani ©
2 Comments
patrizio
03/04/2015 at 13:38a quando un articolo sul porto e le stranezze che accadono…vedi documento MEF? o di quello non puoi parlare?
Andrea
03/04/2015 at 23:03Credo che il tuo commento sia un tantino inappropriato