È la città che ti accoglie e ti fa innamorare per il suo clima e le sue bellezze.
È la città-vecchia.
È la città con più di 2000 anni di storia sulle spalle.
È la città-porto degli Imperatori e dei Papi.
È la città delle terme romane e degli affreschi negli appartamenti.
È la città degli anarchici e degli arditi del popolo.
È la città che è stata invasa, maltrattata e distrutta ma che ha sempre saputo ripartire dalle sue macerie.
È la città dei campioni.
È la città dei cervelli brillanti e degli artisti.
Ma non è solo questo.
È la città delle servitù: energetiche, portuali e perfino militari.
È la città del posto all’Enel, alla provincia alla regione e al ministero o, se si è particolarmente “fortunati”, all’Autorità Portuale.
È la città che dimentica i suoi campioni e gli mette a “disposizione” strutture sportive da terzo mondo.
È la città dei cervelli fuggiti, dei creativi stroncati sul nascere, degli artigiani dimenticati, delle eccellenze emigrate.
È la città del traffico caotico.
È la città dei morti per tumore, della disoccupazione, dei rifiuti.
È la città che nonostante abbia due centrali elettriche, un porto tra i primi in Europa ed aziende di “rilevanza internazionale” si trova perennemente in crisi o sempre in crisi occupazionale.
È la città del cemento.
È la città con centinaia di appartamenti costruiti ed invenduti ma con un emergenza abitativa continua.
È la città che finge di essere aperta ma che nello stesso tempo si chiude a riccio su se stessa.
È una città ostaggio di una politica, locale e nazionale, che non è in grado, o forse non ha l’interesse, di vedere un po’ più in là del quinquennio di carica istituzionale.
È la città del ritorno al futuro che assomiglia tanto, troppo, al recente passato.
È una città miope, stanca e a tratti sfiduciata.
Una città che a voce vuole cambiare ma, nel profondo, è ancorata all’immobilismo.
È una città ostaggio della sua stessa gente.
Non c’è cura a questo tranne che una: il cambiamento. Quello vero.
Foto di Enrico Paravani ©