#TerzaStrada inaugura con l’articolo che segue una rubrica dedicata al cinema. Si discute in narrazione del nuovo film di Gianfranco Rosi “Sacro Gra”. Per questa e per le prossime occasioni sfruttiamo la collaborazione di Luca Petrassi, un giovane laureando in lettere ad indirizzo scenografico. Niente e nessuno è convenzionale su queste pagine.
Buona lettura
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La Quadratura del Cerchio – SACRO GRA (regia Gianfranco Rosi)
Guido non è di Roma. Ha percorso quarantatré chilometri per vedere Sacro Gra al centro di Roma, evitando il Grande Raccordo Anulare. Alle 21:30 è in sala. Alle 23:45 è di nuovo in macchina che cerca di raggiungere il Grande Raccordo Anulare. Pensava di vederlo sullo schermo e ora non è certo di riconoscerlo dal parabrezza. Guido pensa che entro qualche minuto l’avrà raggiunto; è convinto che Rosi ancora lo stia cercando. Guido ha seguito con frustrazione quello che pensava sarebbe stato l’evolversi di esistenze struggenti, eroiche e Sacre, che roteavano intorno ad una strada sterminata e limitata, ma è incappato in vite già vissute. Ha quasi capito come analizzare e salvare una palma da un parassita organizzato e chiassoso. Ha visto un gregge di pecore che gli ha ricordato casa. Gli è venuta voglia di anguille fritte ed è felice di non aver mai letto un fotoromanzo. Guido è stato costretto a guardare il documentario come di solito guarda un film: ha cercato invano un conflitto valido all’interno della narrazione complessiva. Poi si è posto delle domande ed ha letto ogni scena: ne ha trovate alcune eleganti, alcune spensierate, altre stucchevoli. Nessuna visionaria. Guido ha pensato alla realtà per almeno metà dello spettacolo. L’ha riconosciuta nelle immagini ed ha cercato di tradurla in un pensiero.
Quello che è venuto fuori gli ha lasciato amarezza e sconforto. Ha sentito la mancanza di qualcosa. C’era la miseria ma non era abbastanza. La realtà di Rosi era fatta di vite tristi ed isolate che con mirate apparizioni, gesti e parole hanno emozionato Guido, spingendolo a chiedersi l’origine e il fine di quelle suggestioni. Si è accorto che origine e fine coincidevano come in un percorso circolare: tutte quelle storie ruotavano all’infinito, senza via d’uscita, intorno ad un elemento emotivo forte (la casa, i figli, il lavoro, i malati, il titolo nobiliare) talmente radicato in quegli uomini da giustificare una latente devozione alla degradazione, alla miseria. I personaggi rimangono aggrappati all’umiliazione per difendere e mantenere quell’elemento emotivo, senza nessuna spinta se non quella della conservazione istintiva. Guido ha ammirato Rosi per aver dipinto con così scarsa fiducia il genere umano; per aver celebrato con mano ferma le figure di diseredati, puttane e umiliati. Li ha sacralizzati e mitizzati. Li ha colti intorpiditi nella sconfitta appena fuori dal tessuto urbano, confinati tra la speranza e la prudenza. Guido la speranza non la sopporta, la prudenza la evita.
Foto Sacro Gra ©