Molti di voi non possono saperlo, vero, nessuno ve ne hai mai parlato.
Sarò io il primo a farlo e devo partire da molto lontano. Seveso 10 luglio 1976. Intorno alle 12:37 di quel sabato di molti anni fa, nello stabilimento della società ICMESA il sistema di controllo del reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo (un componente di diversi diserbanti), andò in avaria e la temperatura salì oltre i limiti previsti. L’esplosione del reattore venne evitata dall’apertura delle valvole di sicurezza, ma attraverso queste fuoriuscì una nube di diossina, formatasi a causa delle alte temperature.
La nube tossica investì una vasta area di terreni nei comuni limitrofi della bassa Brianza, in particolare Seveso, causando l’avvelenamento della popolazione e negli anni a seguire numerose malformazioni neonatali, disfunzioni ormonali e malattie tumorali.
Per l’Italia è stato l’incidente industriale più rilevante mai registrato, ed ha portato alla luce l’inadeguatezza di un Paese che si riteneva il leader della chimica. Molta fu la preoccupazione sulla sicurezza degli impianti presenti in tutta Italia. È bene ricordare che all’epoca dei fatti in Italia non era stato ancora istituito il Ministero per l’Ambiente (fondato il 1 agosto 1986) e tutte le operazione erano coordinate dal Ministero dei LL.PP. allora guidato dal democristiano Antonino Pietro Gullotti.
“[…] voi, che vivete tranquilli nella vostra coscienza di uomini giusti, che sfruttate la vita per i vostri sporchi giochetti allora, allora ammazzateci tutti!” cit. Antonello Venditti
Le leggi Seveso
A seguito dell’incidente di Seveso l’Unione Europea decise di dotarsi di una politica comune in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali. La “Direttiva Seveso I” imponeva agli stati membri:
il censimento degli stabilimenti a rischio, con identificazione delle sostanze pericolose;
la stesura in ogni stabilimento a rischio di un piano di prevenzione e di un piano di emergenza;
la cooperazione tra i gestori per limitare l’effetto domino;
il controllo dell’urbanizzazione attorno ai siti a rischio;
l’informazione degli abitanti delle zone limitrofe;
l’esistenza di un’autorità preposta all’ispezione dei siti a rischio.
La direttiva non includeva le installazioni militari ed i rischi connessi all’emissione di radiazioni ionizzanti.
La “Seveso II” sfoltiva l’elenco delle materie pericolose da 180 a 50, ampliando però il numero delle classi di pericolosità, e di conseguenza il campo di applicazione del Decreto.
Lo scorso 4 luglio 2012 la Direttiva è stata ulteriormente aggiornata (cosiddetta “Seveso III”), che dovrà essere recepita dagli Stati Membri entro il 1 giugno 2015.
Civitavecchia: gli stabilimenti a rischio
In applicazione alle leggi Seveso, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare pubblica con aggiornamento annuale l’inventario nazionale degli stabilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti – tipo Seveso per intendere – al fine di predisporre, a cura delle Prefetture, l’elaborazione del Piano di Emergenza Esterno (PEE).
Il Ministero dell’Ambiente lo scorso dicembre 2012 ha provveduto ad inserire Civitavecchia, a pieno titolo, nell’inventario dei Comuni che ospitano stabilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti.
In inventario possiamo leggere:
DN014 – SO.DE.CO SRL, deposito di oli minerali;
DN031 – S.I.P.I.C. SRL, deposito di oli minerali;
NN016 – SO.DE.CO SRL, deposito di oli minerali;
NN065 – ENI SPA DIVISIONE REFINING & MARKETING, deposito di oli minerali;
NN097 – ENEL PRODUZIONE SPA, centrale termoelettrica.
Parallelamente presso l’elenco della Regione Lazio – Dipartimento di Protezione Civile troviamo l’elenco dei siti sottoposti a procedure di bonifica:
44 – PETROLI INVESTIMENTI S.p.A. ItalPetroli SpA. Via Aurelia Nord n.32. Oleodotto Centrale Termoelettrica Tirreno Power Torrevaldaliga Sud;
51 – Ex Centrale Termoelettrica di Fiumaretta. Sconosciuto il proprietario. Località Fiumaretta;
52 – Fosso del Prete S.c.r.l., discarica località Fosso del Prete;
53 – Holding Civitavecchia Servizi Srl, discarica fosso Crepacuore;
55/56 – ITALGAS SPA, via del Gazometro 33;
57 – MARIO GUERRUCCI SaS, discarica RSU Cava della Legnaia;
58 – SEPORT Servizi Ecologici Portuali. Località Punta S. Paolo, Aurelia nord km 74,400.
Incrociando i dati dei due inventari risulta evidente come gran parte del territorio comunale sia occupato da stabilimenti a Rischio di Incidente Rilevante e da siti soggetti a procedimento di bonifica per inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque sotterranee, con valori delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) che, in alcuni casi, superano di 20 volte circa i limiti tabellari imposti di Legge.
“Idrocarburi leggeri, medi e pesanti, idrocarburi gassosi, benzine, cherosene, gasolio, oli combustibili ed oli lubrificanti, bitumi, catrami e loro composti organici, contaminanti inorganici quali ferro, manganese, nichel, nitriti, diossine, antimonio, ecc.”
A questi due inventari aggiungiamo anche la lista dei siti che l’Ufficio Ambiente dovrebbe prendere in carico per istruire la procedura di bonifica:
1. area parcheggio Via del Turco (ex area SMEB) in demanio marittimo proprietà Autorità Portuale; superficie mq. 13.000 circa (non si conosce lo stato del procedimento);
4. area Forrest Terminal in demanio marittimo di proprietà Autorità Portuale; superficie mq. 11.000 (alcune csc superiori circa 10 volte ai limiti tabellari);
5. ex Darsena Petroli nel porto di Civitavecchia ex proprietà Petroli Investimenti SpA; area compresa tra la banchina n.18 e la banchina n. 20 in demanio marittimo; di proprietà Autorità Portuale; superficie ca. mq. 20.000 (non si conosce lo stato del procedimento).
“Il filo conduttore che unisce i siti di cui trattasi al tessuto territoriale della vasta area portuale, attraverso la rete delle attività produttive ad essa legate, è, come sopra esposto, la presenza di inquinamento diffuso da idrocarburi nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee e superficiali (si pensi ai contigui Fosso di Fiumaretta e Fosso del Buon Augurio o Fosso del Prete recapitanti in mare), riconducibile all’intervento antropico che, nel corso degli anni (sin dai primi anni ’60 per quanto riguarda i depositi costieri), ha visto utilizzata tale porzione del territorio per la realizzazione di impianti di produzione, trasformazione , deposito e distribuzione (si immagini la rete sotterranea di oleodotti) di prodotti e sottoprodotti petroliferi necessari ad incrementare lo sviluppo industriale ed economico.”
Questo territorio ospita quindi quattro discariche, due per rifiuti solidi urbani e due per rifiuti speciali e speciali pericolosi, un centro tecnico militare per lo stoccaggio di materiale NBCR, due centrali termoelettriche (una a ciclo combinato e l’altra a carbone) e relative reti di elettrodotti, una boa petrolifera. Ma non finisce mica qui:
Esso SpA, SS. Aurelia km. 73 + 12, stazione di servizio carburanti (in fase di analisi di rischio);
Esso SpA, SS. Aurelia km 70 + 56, stazione di servizio carburanti (in fase di indagini ambientali);
Area di Servizio Tolfa Est, Api Total-Erg (in fase di caratterizzazione);
Area di Servizio Tolfa Ovest, Total-Erg, Tamoil (in fase di caratterizzazione);
Discarica di fosso Crepacuore, indagini ambientali in atto, nota Arpa Lazio n. 27825 del 17 aprile 2012 e nota Provincia di Roma n. 103801/2/7 del 3 luglio 2012;
Parco nafta Centrale Termoelettrica ENEL di TVN, comunicazione Provincia di Roma prot. n. 117321/11 del 28 luglio 2011 (non si conosce lo stato del procedimento).
Tutti gli stabilimenti in una così ristretta porzione di territorio, addirittura ricomprese all’interno del raggio minimo di distanza dei 5 km, imposto dalla normativa “Seveso II”, combinati con la sussistenza d’inquinamento del suolo, sottosuolo e delle acque sotterranee, raffigura una situazione preoccupante sia per la tutela della salute e dell’incolumità pubblica sia per la tutela del territorio e delle componenti ambientali connesse.
Non certo per dimenticanza, ma perché la trattazione dell’argomento sarebbe risultata assai complessa, ho deciso di non parlare in questo articolo di amianto, in essere o disperso nel territorio da irresponsabili.
Elemento da non sottovalutare ma da tenere sotto controllo sono le concentrazioni di diossine presenti nell’area in prossimità di punti sensibili come potrebbero essere il porto, le centrali o le infrastrutture veicolari; risulterebbe infatti che ARPA Lazio lo scorso 10 agosto 2012 – durante il vasto incendio che ha colpito anche la discarica di Fosso del Prete – abbia rilevato una serie di “anomalie” sparse ed un picco di CSC di diossine intorno al raccordo autostradale di Civitavecchia Nord.
Il quadro che ho provato qui a delineare è certamente uno dei peggiori, descrivere un territorio estremamente compromesso e pieni di veleni, così mal amministrato (mancanza di un’indirizzo politico, di risorse economiche e collaborazione tra Enti, ad esempio), con una popolazione inerme e tenuta volutamente all’oscuro; in caso di incidente rilevante non potremmo certo fare confronto l’incidente di Seveso ma per fattori estrinsechi ed intrinsechi saremmo molto più simili a quello accaduto nel 1984 a Bhopal in India.
In questi giorni abbiamo letto sui giornali la richiesta della Deputata del PD Marietta Tidei, figlia dell’attuale Sindaco di Civitavecchia, al Ministro dell’Ambiente Orlando e al Ministro dello Sviluppo Zanonato “per porre in discussione l’inserimento della città di Civitavecchia tra i Siti di Interesse Nazionale, individuabili in relazione alle caratteristiche precipue, alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell’impatto sull’ambiente circostante in termini sanitari e ecologici nonché di pregiudizio per i beni culturali e ambientali”.
Lungi da me dal pensare male dell’Onorevole Tidei, certo è che se per bonifica e sostenibilità ambientale intendiamo de-strutturare l’Ufficio Ambiente – cosa che in questi ultimi giorni è arrivata definitamente a compimento – che ne è predisposto per competenze e qualità, occorrerebbe che l’interrogazione venga posta a casa durante il pranzo domenicale: “Papà, ma cosa nei vuoi fare dell’ambiente?”
Una tale iniziativa dovrebbe partire dal Sindaco stesso, per Legge, massima carica sanitaria cittadina e tutore della salute pubblica, che ponendosi come autore-portatore utilizzi la “striscia” di governo PD Città-Regione-Governo affinché il MATTM, individuato dalla norma come Amministrazione competente in questo tipo di procedimenti, intervenga a tutela e salvaguardia dello Stato Italiano e della sua popolazione.
E qui potremmo aprire una querelle lunghissima, visto anche come tutti gli Enti con il MATTM in testa si stanno comportando con il caso Ilva, ma quello che a noi interessa sostenere è come sia possibile amministrare una congestione ambientale tale senza nessuno.
Cerco di spiegarmi meglio.
Esistono delle Leggi, il Codice Ambientale e delle Direttive Europee, che spiegano in maniera esaustiva competenze e procedure in caso di “aree soggette da inquinamento diffuso”, un Sindaco, pur avendone relativamente titolarità, non può svegliarsi la mattina e decidere, bypassando tutti gli Enti predisposti, compreso l’Ufficio Ambiente cittadino, di far effettuare presso un sito X – ad esempio la ex centrale Enel di Fiumaretta, oggi sede di importanti uffici comunali – delle indagine conoscitive una tantum; magari come nei governi della cara e vecchia DC affidando il coordinamento ai LL.PP., che hanno tutt’altre competenze, e le analisi a cordate di imprenditori improvvisati analisti ambientali e i risultati, magari, siano gelosamente condivisi tra intimi senza informare nessuna delle altre Autorità predisposte perché “stavolta abbiamo il toro per le corna”.
“Papà, non credi di stare esagerando?”
A voler fare tutto questo in solitudine potrebbe ipotizzare che l’idea della città-comprensorio come “sgabuzzino del Lazio” non sia tanto peregrina e che forse i nostri Amministratori Pubblici, senza nessuna esclusione, hanno un segreto, un solido patto nel cassetto che li lega tutti quanti e che gli impedisce di tutelarci, salvaguardare la nostra salute e l’ambiente in cui viviamo. Aldous Huxley sosteneva che “la predicazione è un’arte, ed in questa, come in tutte le altre arti, i cattivi esecutori superano di gran lunga quelli buoni” e in questi anni di cattivi predicatori, sul pulpito, portati o meno, ne abbiamo visti molti, facce, età e sesso differenti, si sono solo alternati; ci hanno raccontato la bella favola dello sviluppo futuro di Civitavecchia senza mai raccontarci che cosa stavano facendo nel presente.
Foto di Enrico Paravani ©