Un fenomeno che ricorre spesso nelle manifestazioni di arte contemporanea, soprattutto nei grandi progetti internazionali e nelle esposizioni biennali, è la creazione di installazioni che coinvolgono direttamente il pubblico. Passeggiare negli spazi museali o in luoghi dedicati all’arte, di frequente vede gli spettatori smettere gli abiti dei contemplatori statici per assumere il ruolo di attori primari.
Il ciclo delle “Uniliver Series” alla Turbine Hall della Tate Modern di Londra, rappresenta uno degli esperimenti più riusciti in questo senso. L’enorme spazio espositivo londinese, un’ex centrale elettrica trasformata in un tempio dell’arte contemporanea, ha ospitato dal 2000 mostre storiche che fanno ormai parte dell’immaginario collettivo. Quella che ha avuto maggior risonanza e impatto sul pubblico è forse “The Weather Project”, l’installazione che nel 2003 ha consacrato la fama di Olafur Eliasson, artista danese di origini islandesi, il quale da anni lavora in maniera sperimentale indagando il rapporto tra individuo e realtà attraverso fenomeni di percezione visiva.
Utilizzando dispositivi molto semplici Eliasson ha dato luogo ad uno spettacolo stupefacente. La grande sala delle turbine viene inondata dalla luce di duecento lampadine a monofrequanza, quelle dei semafori per intenderci, montate dietro uno schermo semicircolare, il quale assume una forma sferica grazie ad un sistema di specchi disposti sul soffitto, che raddoppia il volume della sala. Alcune macchine producono del vapore acqueo che si addensa e si muove in maniera casuale nello spazio creando banchi di nebbia. Il risultato è un gigantesco solarium, un luogo avvolgente in cui lo spettatore si abbandona ad una luce ipnotica. Alzando gli occhi è possibile scorgere tra le nuvole la propria immagine riflessa sugli specchi del soffitto e non di rado i visitatori si sdraiano sul pavimento per godere del grande sole artificiale. Occupando l’intero volume architettonico Elissson ha creato un luogo indistinto ed espanso,dove il dentro si confonde con il fuori, dove il visitatore si affranca dalla condizione di mero spettatore per interagire con lo spazio che lo circonda.
A testimonianza della partecipazione emotiva di chi ha visitato questa mostra, c’è un curioso episodio avvenuto il 19 novembre 2003. In occasione della visita di George Bush in Gran Bretagna, un gruppo di circa ottanta persone, ha dato luogo ad una performance proprio nella sala del The Weather Project, lanciando un messaggio di protesta al presidente degli Stati Uniti. “Bush go home”, queste tre parole composte dai corpi ordinatamente disposti sul pavimento hanno fatto il giro del mondo, dimostrando che l’arte è una creatura viva, capace di stimolare un senso di umana condivisione, e non materiale inerte da museo.
Il dialogo tra arte e pubblico segna fortemente il lavoro di un altro grande artista, capace di costruire mondi di leggera e sensuale bellezza. Si tratta del brasiliano Ernesto Neto, le cui creazioni sono state definite “sculture di esperienza”. La particolarità delle opere di Neto oltre che nella dimensione gigante sta nell’uso di materiali dal forte impatto tattile. Nylon, polistirolo, lycra, danno vita a grandi forme organiche sospese nello spazio.
Il visitatore fluttua letteralmente in un cosmo leggero e morbido. A volte le installazioni ricoprono persino il pavimento. Quello che si è portati a fare è di entrare in contatto con gli oggetti con cui di volta in volta l’artista brasiliano anima i suoi spazi. Toccare tangibilmente l’opera, una trasgressione, a volte anche annusarla. Già, perché trovarsi di fronte ad una scultura di Neto è anche un’esperienza olfattiva. Le sue installazioni sono spesso inondate dall’aroma di spezie nascoste tra le imbottiture delle forme organiche. Strutture trasparenti e flessuose, sentori di zenzero e cumino, quelli di Ernesto Neto sono spazi multisensoriali in cui è bello perdersi.
“C’è un rapporto molto forte tra me e l’ambiente in cui opero, che influisce profondamente su quello che faccio; un po’ come il camaleonte, la pelle si trasforma, rispondendo alle sollecitazioni dello spazio”.
Neto come Eliasson ama i mondi fluidi, dove interno ed esterno si confondono, dove spazio e uomo si relazionano in uno scambio di energia vitale, mondi in movimento.
Per saperne di più:
http://www.olafureliasson.net/works/the_weather_project.html
http://www.designboom.com/tag/ernesto-neto/