Dada, una parola che non significa nulla come sosteneva Tristan Tzara nel suo manifesto.
Una parola trovata a caso su un dizionario che segna il punto di non ritorno dell’arte moderna e contemporanea.
E’ il 1913, Marcel Duchamp realizza il suo primo ready-made: una ruota di bicicletta fissata su uno sgabello.
Un semplice oggetto quotidiano che perde la sua valenza comune e diventa opera d’arte. Un “oggetto trovato fatto”.
Da questo momento niente sarà più come prima e la storia dell’arte del ventesimo secolo ne da piena testimonianza.
Il movimento Fluxus è uno degli esempi più eclatanti. Daniel Spoerri, artista e danzatore rumeno che aderisce al gruppo, realizza negli anni sessanta una serie di quadri-trappola (tableau-piege) che sono autentici ready-made.
L’artista ne da la seguente definizione:
“oggetti trovati casualmente in situazione di disordine o di ordine vengono fissati al loro supporto esattamente nella posizione in cui si trovano. L’unica cosa che cambia è la posizione rispetto all’osservatore: il risultato viene dichiarato un quadro, l’orizzontale diventa verticale. Esempio: i resti di una colazione vengono attaccati a un tavolo e, insieme al tavolo, appesi al muro (…)“.
Il flusso della vita quotidiana entra dunque prepotentemente nell’atto creativo. Piatti sporchi, bicchieri, avanzi di cibo, tovaglie, arnesi, questi gli oggetti imprigionati nei quadri di Spoerri.
Osservare uno dei tanti tableau-piege dell’artista, fatto di scarti e composizioni casuali, trasmette un insolito senso di meraviglia ed attrazione di fronte ad oggetti che normalmente troveremmo brutti e repellenti.
Daniel Spoerri non è il solo che riesce nell’impresa. Musei e gallerie di arte contemporanea pullulano di oggetti ordinari che poco avrebbero in comune col sacro mondo dell’arte.
L’opera con cui l’inglese Tracey Emin si è presentata all’edizione del Turner Prize del 1999 è una chiara manifestazione di questa tendenza.
“My Bed”, questo il titolo del suo lavoro, consiste nell’installazione di un letto disfatto (quello dell’artista) con residui di macchie organiche attorno a cui sono accumulati oggetti privati quali libri, preservativi, biancheria usata, pantofole.
Come è facile immaginare l’opera ha destato molto scalpore per aver rivelato senza alcun pudore e con molta irriverenza aspetti estremamente intimi dell’artista.
Di nuovo vita reale e arte si confondono.
Un’antica domanda potrebbe allora insinuarsi nella mente del comune spettatore. “Che cos’è un’opera d’arte?”. Quando gli avanzi della cena o le lenzuola sporche assurgono a capolavori?
Inutile cercare una ricetta, la bellezza di queste opere sta proprio nel superamento di quel fragile confine tra vissuto quotidiano e ricerca estetica tracciato dagli artisti.
Per saperne di più
http://www.saatchigallery.com/artists/tracey_emin.htm