A volte nel mondo dell’arte, avvengono incontri quasi predestinati.
E’ il 1992, la rivista giapponese Déjà-Vu combina una storica collaborazione tra due degli esponenti più discussi della fotografia contemporanea, autentici borderliner nella vita e nell’arte. Nan Goldin, che ha già sconvolto i benpensanti con i suoi slide-show nei musei di mezzo mondo, incontra per la prima volta il geniale e scandaloso Nobuyoshi Araki in un jazz bar di Tokyo.
Nel 1994 vedrà la luce la pubblicazione di Tokyo Love, una serie di ritratti che documentano la cultura giovanile della metropoli giapponese, destinata a suscitare il consueto scalpore. Certo Goldin e Araki sono due personaggi “caldi” nel panorama dell’arte contemporanea. Nei loro scatti sfila una umanità eccessiva e scandalosa. Tuttavia a rendere il lavoro dei due fotografi unico e coinvolgente non è tanto la scabrosità dei temi trattati, quanto la partecipazione emotiva che entrambi stabiliscono con i loro soggetti. Una immersione totale nella vita attraverso la macchina fotografica senza precedenti.
La storia di Nan Goldin come fotografa comincia dall’ossessione di un ricordo. Ha solo 11 anni quando la sorella maggiore Barbara, a cui è molto legata, si uccide sui binari di una ferrovia nei pressi di Washington. Questo evento drammatico segnerà la sua intera esistenza portandola a condurre una vita fuori dagli schemi convenzionali. Nell’estate del 1972 Nan Goldin vive a Boston e condivide un appartamento con sette amici adolescenti. E’ una comunità di artisti stralunati e androgini che diventa la sua nuova famiglia. Proprio in questo gruppo inizia il percorso artistico della fotografa americana. Sono i primi anni ’70, l’America è completamente immersa nella cultura glam-rock e personaggi trasgressivi come David Bowie dominano la scena musicale. Nelle feste trendy dell’epoca, girano droghe di ogni genere e fiumi di alcool. Goldin comincia a fotografare i suoi amici, li immortala in pose scomposte, storditi dalle sostanze stupefacenti. L’istinto per le inquadrature le permette di registrare le infinite sfumature della realtà che la circonda. Il suo obiettivo è alla giusta distanza per cogliere i momenti più intimi. Gioia, malinconia, desiderio, sentimenti discordanti, vengono mostrati con naturalezza ed estrema libertà, come se la fotografa non esistesse, come se fosse una di loro. Nan Goldin ha dichiarato:
“Non ho nessun pregiudizio nessuna aspettativa. Le persone non devono recitare una parte per me, non mi devono dare quello che voglio. Ciò che mi spinge a fotografarli sono i sentimenti che nutro per loro: rispetto, amore, spesso attrazione fisica”.
Riferendosi ai suoi lavori Goldin parla di “istantanee da album di famiglia”, sono “un atto d’amore, provengono dal desiderio di ricordare qualcosa e condividerlo con qualcuno”. L’ossessione del ricordo pervade interamente la sua opera. L’obiettivo di Goldin non si sottrae a nessuna prova nemmeno di fronte agli eventi più drammatici. Negli anni ’80 i suoi amici cominciano a morire di AIDS e la fotografa è li accanto a loro, soffre impotente e scatta foto. Sono foto intime che colgono la condizione più vulnerabile dell’essere umano. Goldin non risparmia nemmeno se stessa, immortala il suo volto tumefatto dopo una lite con il suo compagno, realizza una serie di scatti che rivelano la sua dipendenza dalla droga. Pose scomposte, effetti mossi casuali che inquadrano il corpo obeso e lo sguardo spento. L’artista ha attraversato i momenti più significativi della sua esistenza senza mai abbassare la guardia. Le sue foto straordinarie emanano una estrema vitalità che si tratti di feste allegre e scatenate o di dolorosi addii.
Ma torniamo a Tokyo. Qual’è il filo rosso che lega il lavoro di Nan Goldin a quello di Nobuyoshi Araki, il più noto fotografo giapponese ritenuto tanto scandaloso in patria al punto di essere più volte arrestato con l’accusa di oscenità?
Araki è un artista molto prolifico, ha pubblicato numerosi libri e lavorato per riviste popolari come Playboy e Déjà-Vu. I suoi reportage sull’industria del sesso giapponese e sul quartiere a luci rosse di Tokyo l’hanno reso molto famoso. Ma superato il facile sensazionalismo di corpi nudi e disinibiti, le immagini di Araki lasciano un solco nell’anima per la loro struggente bellezza. Il maestro giapponese scandaglia con appassionata energia tutto ciò che lo circonda. Fotografa donne nude “perchè è divertente”, seni e sederi scoperti, ma alla fine arriva al viso “la parte più scoperta delle persone”. Nelle sue foto compaiono casalinghe legate da corde, genitali, fiori carnosi e sensuali, strade affollate, il terrazzo di casa, la propria gatta, sua moglie. Proprio con questi ultimi soggetti Araki diventa più intenso ed intimista. Ritrae la moglie Yoko durante il viaggio di nozze (Sentimental Journey, 1971) ma anche nei suoi ultimi giorni di vita (Winter Journey, 1991) mostrando a distanza una segreta affinità con il lavoro di Nan Goldin. Araki si rende spettatore di ciò che lo circonda, cerca di mostrare il mondo così com’è svelandone la bellezza ma anche la caducità. In questo si riconosce il senso della collaborazione dei due grandi maestri della fotografia contemporanea. Il dolce abbandono, il senso di partecipazione agli eventi che caratterizza ogni loro scatto e commuove profondamente. Dolore, gioia, gioco, amore e morte tutto è parte della vita.
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