[heading style=”subheader”]Un oggetto può avere un’espressione che ne rivela lo stato d’animo? [/heading]
La razionalità ci dice di no, ma nelle foto di Francesco Radino le “cose” hanno un volto con tanto di espressioni che ne dichiarano le emozioni. A volte sono nuove, quasi inventate sul momento, altre volte si diluiscono con quelle di chi osserva la foto.
Così, un aereo in partenza in una notte di fulmini appare piccolo e spaventato, una scala sembra sospirare appoggiata al muro di una cascina dopo una giornata di stancante lavoro*, un ammasso di ferraglia è una folla di utenti scocciati in attesa alla posta**. Le strade camminano, non più gli uomini, le vie e i viottoli; anche le ombre sono fatte di pelle e zigomi, complete, autonome, potrebbero staccarsi dal loro creatore e inventare un’esistenza propria. Da un pezzo di legno esce il profumo dell’albero dal quale è stato strappato. Immagini l’albero con il suo pezzo di legno ancora nel corpo, fermo nel cuore di un bosco a prendere il sole, parlare con gli uccelli, tagliarsi i capelli d’autunno.
Radino fa germogliare le storie dai volti degli uomini, spuntano il libro della loro vita e le sofferenze della terra sulla quale hanno giocato scalzi, come in Palestina Diario di Viaggio (1980-1989), dove persino il vento che distoglie lo jallabia di un pastore sembra trivellato dai ricordi della guerra tra popoli.
Se mi servissi di un già sentito, potrei scrivere che nelle foto di Radino c’è anima, ma sarebbe poco, nelle foto di Radino non c’è solo anima, c’è anche tutto il resto, e la voglia che ho avvertito la prima volta è stata di entrare in ognuna di esse e abitarci.
I suoi scatti si toccano, si assaggiano, si assaporano e si ascoltano con gli occhi, lasciano la sensazione di aver sempre conosciuto quelle cose, quelle vie, quelle persone, quei luoghi, e di volerci tornare per sapere come va a finire la loro storia.
* Archivio dello spazio 4/5 (1995-1997)
** L’anima della Ferriera (1990-1994)
Foto di Francesco Radino ©