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Nuova Ecologia – I parte
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Nuova Ecologia – I parte

18 Febbraio, 2014 Federico Cropani Ambiente, Ambiente e cultura 0 comments

Sin dalla sua comparsa sulla Terra, l’uomo ha agito sull’ambiente per migliorare le proprie condizioni di vita; il semplice atto di utilizzare le pietre per costruire delle case, o di trasformarle in un arma per la caccia, possono essere considerate attività che, seppur in maniera molto limitata, hanno modificano la natura. Fino a quando la crescita demografica e l’industrializzazione massiccia non hanno preso il sopravvento, la capacità dell’ambiente di rigenerarsi consentiva di mantenere uno stato di equilibrio tra il prelievo di materiali e la loro ricostituzione. Questo era reso possibile, oltre che dal livello di industrializzazione e produzione nettamente inferiore a quello odierno, anche dal rapporto diretto e costante che l’uomo aveva con la natura e dal maggior rispetto che aveva nei suoi confronti, percepito come indispensabile per la propria sopravvivenza. Con le rivoluzioni industriali, l’avvento della produzione su larga scala, il progredire delle scoperte scientifiche e tecnologiche, il passaggio dalla civiltà rurale a quella urbana, si è andato sempre più perdendo e pure si è andata perdendo, nel giro di poche generazioni, la consapevolezza che in quanto esseri umani, insieme a tutte le altre specie viventi e non viventi, dipendiamo inevitabilmente dall’ambiente, l’unico a poterci dare il sostentamento di cui abbiamo bisogno.

Uno dei fattori che ha rotto questo rapporto è la crescita demografica degli ultimi cento anni; agli inizi del XX secolo sul nostro pianeta erano presenti circa 1.6 miliardi di persone, oggi, abbiamo superato i 7 miliardi e l’ONU stima che nell’anno 2040 raggiungeremo i 9 miliardi di abitanti sulla Terra.

Ciò ha conseguito un’aumento della produzione di beni e quindi dello sfruttamento delle risorse naturali. Altro fattore non trascurabile è senz’altro il modello di sviluppo economico che abbiamo creato, basato sulla globalizzazione ed il consumismo, che scarica i costi sociali ed ambientali nei paesi più poveri e “ridistribuisce” ricchezza e benefici in quelli ricchi; il 20% della popolazione consuma e possiede oltre l’85% della ricchezza mondiale e un altro 20%, che corrisponde alla fetta di popolazione più povera, ne consuma appena il quattro, andando contro ad ogni ideale di sostenibilità sociale ed ambientale.

Disuguaglianza sociale, fame, guerre, malattie, la perdita di fertilità ed erosione dei terreni, la salinizzazione dei suoli, l’inquinamento dei terreni, dei mari, dei corsi d’acqua e dei cieli, lo smaltimento dei rifiuti, la maggiore frequenza di catastrofi naturali, l’estinzione di specie animali e vegetali, il surriscaldamento del pianeta, la desertificazione, lo scioglimento dei ghiacciai, sono solo alcune delle conseguenze di questi processo in atto.

Non ci si è interrogati mai sui limiti fisici del pianeta e su come mantenere un’equilibrio stabile per garantire il sostentamento di future generazioni. Il mondo è cambiato, sta cambiando e continuerà a farlo, si sviluppa la società umana e l’avanzamento tecnologico, la crisi economica in corso ha  solo fermato, per un po’ di tempo, questo cambiamento. Un’occasione unica per invertire questa situazione rivedendo i nostri modelli di vita, di consumo, di produzione, costruendo un modello economico sostenibile. E, invece di cogliere il passaggio storico, rispondiamo con il conservatorismo più spinto, la sua austerità, la sua non progettualità. Ancora una volta le politiche ambientali sono messe da parte per far posto a politiche di sviluppo sul consumo e l’accumulazione di capitale.

Alla Conferenza Internazionale sul Clima di Durban nel 2011 – aggiornata  a Varsavia 2013 – abbiamo raggiunto una timida intesa per un futuro accordo globale sul clima, senza l’ambizione necessaria per affrontare urgentemente il cambiamento climatico. Il nostro Paese non è da meno, quanto a timide politiche ambientali, se non addirittura assenti; basti ricordare che soltanto nel 1986 fu istituito un Ministero per creare una strategia nazionale sulla materia e rapportarsi con l’Europa. Il fallimento è da ricercarsi nell’esistenza del diffuso abusivismo edilizio, sostenuto da un rapido sviluppo delle città, con forme spazialmente complesse e non sempre lineari.

Si trova nei ritardi accumulati nel settore dell’energia rispetto al raggiungimento degli obiettivi di Kyoto; nella significativa difficoltà amministrativa e gestionale in cui è costretto ad operare il Ministero dell’Ambiente, anche a seguito dei continui tagli delle risorse economiche. Da uno spaventoso consumo di suolo accompagnato da “piani casa” che hanno contribuito a derogare le normative urbanistiche e paesaggistiche e da piani di concessioni demaniali che hanno ulteriormente cementificato le spiagge e le nostre coste. Dalle drammatiche alluvioni che colpiscono più frequentemente il nostro territorio evidenziano quanto il potenziale rischio idrogeologico sia più alto di quello che pensiamo in un Paese che non investe nella messa in sicurezza del suo territorio. Dall’emergenza rifiuti di Napoli e della Campania, che tanto ha fatto indignare l’opinione pubblica, che ha posto il problema della gestione dei rifiuti e del rischio alla salute pubblica. Non solo non si intravede la possibilità di una politica ambientale di stampo europeo, che potrebbe essere addirittura insufficiente per l’Italia, ma addirittura si vede ogni azione di tutela e di conservazione sacrificata nel nome di interessi specifici, lobby di costruttori, magnati immobiliari, privati cittadini particolarmente incisivi, che hanno fatto perdere completamente di vista l’interesse nazionale che la Costituzione mette in capo alla Stato.

L’ambiente, l’energia, i rifiuti, la salvaguardia degli ecosistemi e il governo del territorio devono essere materie centrali della discussione politica nazionale, regionale e locale. Ci dobbiamo impegnare affinché nel nostro paese si arrivi ad una legge quadro che ponga il governo del territorio in primo piano rispetto al testo unico sull’edilizia (D.P.R. 380/2001 e s.m.i.); non è ammissibile che un Paese come il nostro possa aver regolamentato l’edilizia privata, agevolandola sempre e comunque, e da quarant’anni aspetti ancora una Legge unica sull’urbanistica; caratterizzata da una dimensione umana, miglioramento della qualità di vita, protezione ambientale, inderogabilità e semplificazione dei piani urbanistici. È infatti evidente come la conservazione del patrimonio ambientale, storico e paesaggistico italiano passi da una rispettosa programmazione urbanistica locale espansiva, progressista e allo stesso tempo punitiva nei confronti dell’abusivismo. Un primo passo per avviare questo processo sarebbe quello di adeguare i piani regolatori comunali ai piani paesaggistici sovraordinati (provinciale e regionale) in quanto trasferirebbero sul comune una serie di prescrizioni ambientali a protezione del territorio; integrati da  piani di settore, norme tecniche attuative e regolamenti comunali tali da incentivare il rinnovo degli involucri edilizi, la certificazione energetica degli stessi, l’integrazione di tecnologie innovative al fine di rendere sostenibile l’intero processo edilizio. Incentivare il risparmio energetico introducendo un Piano d’azione per il Clima che favorisca la realizzazione e la ristrutturazione di edifici in classe A, promuovere una cultura del risparmio energetico e l’utilizzo di fonti rinnovabili integrate negli edifici; su questa strada occorre sostenere piani di recupero del nostro patrimonio storico immobiliare ponendo accento sulla qualità architettonica di questi edifici che spesso possono garantire una diversificazione dell’offerta culturale di un comune o prestarsi ad esperimenti di modelli abitativi di housing sociale. Il co-housing in collaborazione con operatori privati, è in grado di soddisfare le esigenze abitative di persone disagiate, nonché di promuovere la convivenza; gli interventi di auto costruzione di abitazioni sostenibili, ecologiche ed ad impatto zero sostenendo gli operatori dilettanti con imprese e professionisti del settore, possono mantenere contenuto lo sforzo economico. Ciò permette un nuovo modello di convivenza, rivolto a giovani coppie, studenti, anziani soli e non più autosufficienti, interculturale e intergenerazionale ma ancor di più viene incontro al diritto alla casa che dovrebbe nella nostra società essere riconosciuto come diritto inalienabile.

 I  –  II

Foto di Enrico Paravani ©

 

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Federico Cropani

Laureando in architettura, storico e blogger.

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