Il Grande K era seduto sulla sua poltrona di velluto.
Prima dell’inizio della campagna elettorale aveva incaricato un paio di improvvisati facchini per recuperare la sua preziosa poltrona, da casa sua, un appartamento con mansarda in una città del comprensorio.
Non abitava nella città per la quale concorreva come Candidato Sindaco.
Forse erano rumeni. O forse polacchi.
Comunque scaricarono il tutto nella nuova sede elettorale, uno spazioso locale con al centro la gigantesca scrivania del Candidato Sindaco e di lato, vicino ad un enorme schermo al plasma, la poltrona su cui, adesso, mano a mano che lo spoglio elettorale procedeva, K si rilassava fumando da una pipa, fatta a mano dal suo artigiano di fiducia. Un tizio che non abitava nemmeno nel comprensorio. Forse nemmeno italiano.
T già subodorava l’opportunità di diventare il portavoce ufficiale del nuovo Sindaco. I dati provenienti dai seggi non sembravano ammettere dubbi. Tutti in città ricordavano i suoi trascorsi in un’organizzazione di estrema destra e una sua foto, custodita gelosamente nel portafogli, che lo immortalava assieme a Pino Rauti.
R, da almeno un’ora, era intento, ormai senza giacca ma con una cravatta viola in distonia rispetto al completo gessato grigio che indossava e che doveva per forza risalire almeno al precedente decennio, a saltellare per la sede elettorale, continuando a ripetere come un mantra il fatto di essere ormai vicini, se non oltre, al 60% delle preferenze.
P, il futuro Assessore ai Lavori Pubblici, laureato in una famosa Università Privata e con più di un decennio di esperienza nel più grande Gruppo Bancario Europeo, fissava distrattamente, seduto su una sedia di plastica, il programma in onda sullo schermo al plasma gigante. Era una delle emittenti locali. Svariati personaggi ospiti in studio.
Lo spoglio era ormai oltre il 90% delle schede. K assaporava la pipa. Sembrava assopito.
Alla fine, la Catarsi.
P, alzandosi dalla sedia di plastica e sistemando il suo Patek Philippe, si dirige verso K.
“Sindaco. Finalmente. Direi che ci siamo, adesso”, dice P, ammiccando verso K.
Fuori la sede elettorale la folla ormai formicolava. Molti questuanti in processione. Molti meno quelli tirati giù dal divano di casa, dall’ipnosi televisiva o da social network. Chissà per merito di chi.
K socchiude gli occhi e guarda P., posa la pipa sul tavolinetto accanto alla poltrona. In silenzio una carezza sul poggiamano di velluto consumato. Una rapida sensazione di piacere lo attraversa nel vedere il velluto scolorito dal suo lento tocco.
Lentamente K si alza, sorridendo, e procede, come investito da un’aura divina, verso l’uscita della sede elettorale per l’abbraccio della folla festante.
In quel momento un fischio fortissimo all’orecchio destro lo paralizza. Tutto gira velocemente per K. La folla, indistinta attraverso le vetrate della porta d’ingresso della sede, diviene una galassia rotante di sfumature di marrone e grigio.
Poi un tonfo colossale, ai piedi dell’ingresso della sede elettorale, quasi K fosse un cantante rock in giacca e cravatta.
Solo un po’ troppo vecchio per queste cose.
E nessuno che si muove per cercare di attutire la caduta.
Illustrazione di Silvia Castrati ©