F in genere non ricorda mai i sogni.
Una persona abituata ad essere razionale, nella vita di tutti i giorni, sviluppa una sorta di filtro aggiuntivo, quasi avesse un programma automatico di ripristino di spazio di memoria, all’interno delle connessioni neuronali.
Soprattutto la mattina.
Soprattutto se il lavoro è sempre e comunque legato ad aspetti tecnici, deterministici.
In qualche modo scritto nella pietra. Procedurale.
F è un tecnico. Uno specialista. Un uomo di scienza e di ragione.
Ma quella mattina non era una mattina canonica. Quella mattina era la mattina dello spoglio elettorale.
F, da circa due mesi, aveva accettato di sobbarcarsi la responsabilità di essere il Candidato Sindaco delle forze movimentiste della città. Mai iscritto ad un partito, ideologicamente coerente, eppure da anni costantemente assente alle tornate elettorali nazionali. Anni senza un partito di riferimento e senza esprimere voto. Una vita senza tessere.
F, quella mattina, ricordava perfettamente il sogno che aveva fatto.
Una campagna, di giorno, forse somigliante a quella realmente esistente nella periferia collinare della città.
Un ponte ferroviario, vecchio, abbandonato, eppure solidissimo, con travi d’acciaio robuste e tavole di legno rassicuranti.
Ai lati nessun parapetto o sbarra di protezione.
Un ponte aperto, con ai lati il vuoto di un salto di almeno 30 metri, giù nella vallata.
F, nel sogno, attraversa quel ponte, senza timore.
Non ci sono protezioni laterali, è vero. Ma la struttura è solida e sicura. Non può traballare. Non può spezzarsi. E’ una certezza matematica persino in un sogno come quello.
F ripercorre le sensazioni che quella notte, stranamente, gli ha lasciato addosso, mentre si prepara per raggiungere i suoi collaboratori, amici e compagni, alla sede elettorale.
Poi un’altra certezza matematica lo rassicura, mentre si allaccia le scarpe da ginnastica.
Oggi non si vince di sicuro, pensa.
Molti, là fuori, hanno paura di aver paura. Altri hanno solo ed esclusivamente il bisogno di ricevere qualcosa in cambio.
Parecchi sono disperati. E sono loro quelli che devono arrivare a casa, appoggiandosi ad un corrimano.
Ad una balaustra.
Ad un parapetto.
C’é solo bisogno che qualcuno perda, per occuparsi di questo lavoro.
Un cenno con la mano a suo figlio. La bicicletta che lo aspetta nel giardino.
Solo qualche pedalata lo separa dalla sconfitta più bella della sua vita.
Illustrazione di Silvia Castrati ©