Richard Mosse è un giovane fotografo irlandese che nel 2012, insieme a due collaboratori, si è recato in Congo tra le file dei ribelli armati per documentare la micidiale guerra che tormenta quei luoghi da decenni lasciando dietro di sé milioni di morti. Una scelta coraggiosa che lo ha messo di fronte ad una realtà atroce governata dalla totale anarchia. La sua indagine ha meritato la prestigiosa vetrina della Biennale di Venezia 2013 dove il Padiglione irlandese era rappresentato da una videoinstallazione molto efficace.
L’originalità del progetto di Mosse intitolato The Enclave si basa sulla scelta di raccontare il vissuto bellico congolese attraverso fotografie in infrarosso utilizzando una celebre pellicola che per anni è stata molto in voga nelle operazioni di spionaggio ed oggi è fuori commercio. L’espediente ha “tinto” l’intero reportage di un rosa improbabile; tutto ciò che era verde, alberi, prati, foglie, il colore della speranza e della natura più pura, ha assunto una tonalità shocking del tutto innaturale. Un cortocircuito visivo destabilizzante che genera un inevitabile disagio nello spettatore ammaliato dai cromatismi delicati di situazioni che, al contrario, sono tragiche. Si viene così a creare una tensione inedita tra l’etica del contenuto e la sua estetica. Richard Mosse mette in pratica un’operazione di forte valenza simbolica che si snoda attraverso molteplici piani di lettura: quello che normalmente sarebbe uno sfondo naturale piuttosto anonimo e sfuggente diventa una compatta distesa rosa sulla quale si muovono i protagonisti di situazioni drammatiche che per assurdo, anziché rimanere in secondo piano a causa di queste chiazze di colore fuori contesto, risaltano ancora di più. Ma il fatto di rendere “esteticamente” visibile un colore inaccessibile ai nostri occhi rappresenta anche la riemersione nella nostra coscienza di una indignazione profonda di fronte ad una guerra che ancora oggi, nonostante tutto, passa troppo sotto silenzio. Bellissimi i paesaggi naturali, grandiosi, surreali e inquieti. Consiglio di vedere la video-intervista The Impossible Image, making off del progetto The Enclave.
Segnalo sul suo sito anche un altro abbacinante e soprendente video di pochi minuti accessibile dalla voce di menu Theatre of War, asciutto ed essenziale come le immagini che lo compongono girate tra i resti della faraonica villa di montagna di Saddam Hussein eretta su uno sperone roccioso con una vista grandiosa sul fiume Tigri. Null’altro che una guarnigione di soldati annoiati pressochè immobili che sorvegliano il sito, seduti sul bordo di quel che resta della piscina oltre la quale il nostro sguardo scivola sulle sottostanti vallate desertiche fino a perdersi sull’orizzonte. Che situazione assurda quel contrasto di colori tra il fondo azzurro della piscina e le tonalità giallastre del contesto naturale arso dal sole! Assurda come l’ex dittatore che l’aveva fatta costruire, come la guerra che poi l’ha fatta a pezzi, come lo scenario irreale dello scheletro edilizio circondato dal nulla. Alcuni passaggi del video mi hanno fatto venire in mente le sequenze iniziali di 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, quelle più silenziose girate nell’immensità della natura selvaggia: inquadrature – e forse qualche movimento di camera – che, per la solennità del taglio compositivo e per le ottiche utilizzate, a focale molto corta, contribuiscono a rendere ancora più surreale lo scenario di devastazione. Uno scenario vuoto, privo di vita ma intriso di contenuti che pesano come macigni; come quelli staccatisi dalla villa.