Giulio Natta (Porto Maurizio, 26 febbraio 1903, Bergamo, 2 maggio 1979) ingegnere e accademico italiano, premio Nobel per la chimica nel 1963, è stato il padre della plastica moderna (polipropilene).
La plastica ha rivoluzionato il mondo. Potremmo definire la scoperta di Natta come una delle più significative all’interno dell’Antropocene[a].
Purtroppo, tale significatività non ha soltanto riguardato il miglioramento della qualità della vita di ognuno di noi, ma anche la qualità e la quantità di rifiuti che abbiamo iniziato a produrre.
Il problema dei rifiuti plastici nel giro di 50 anni è diventato molto evidente in ogni parte del mondo. Oggi ci troviamo in uno scenario nel quale i paesi più sviluppati hanno iniziato a preoccuparsi del problema (produzione di plastiche riciclabili, raccolte differenziate, ecc.) mentre i paesi che una volta venivano chiamati “in via di sviluppo” e che oggi potremmo chiamare in “ascesa” (Cina, India, Brasile ecc.), sono diventati i maggiori produttori di rifiuti plastici del mondo, soprattutto di rifiuti costituiti da plastiche non riciclabili.
I rifiuti plastici sono in grado di impattare qualsiasi comparto ambientale. Ovviamente quello che ci risulta immediato è l’impatto visivo o comunque l’impatto sul territorio. Tuttavia l’accumulo di materie plastiche è molto più subdolo: non è limitato ad un accumulo, più o meno disorganizzato, nelle nostre città e nelle nostre campagne, ma costituisce una sorgente potenzialmente enorme e molto pericolosa di rilascio di sostanze tossiche e cancerogene. I rifiuti plastici hanno inoltre la sgradevolissima tendenza a sminuzzarsi, se lasciati all’azione meteorica, fino a creare dei frammenti microscopici (plastic debris), cosa che favorisce in maniera esponenziale il trasferimento di elementi pericolosi alle catene trofiche, quindi all’uomo.
Un aspetto che per anni non è stato considerato nella maniera dovuta è stato l’accumulo di rifiuti plastici in mare.
Nel mondo, dato riferito al 2011, vengono prodotti circa 280 milioni di tonnellate di materiali plastici. Si stima che circa il 6 milioni e mezzo di tonnellate finiscano ogni anno in mare, per incuria, incidenti o problemi nella gestione dei rifiuti [1].
I rifiuti plastici arrivano in mare sia attraverso immissioni provenienti dalla terraferma sia attraverso attività svolte direttamente in mare. Si stima che le quantità di rifiuti plastici che arrivano al mare e agli oceani sia ad oggi in aumento, anche se è molto difficile quantificare l’effettivo trend di crescita [2].
Negli ultimi tempi si è cominciato anche a parlare di vere e proprie isole di rifiuti (perlopiù plastici) accumulatesi per l’azione delle correnti oceaniche, in particolare nella zona del Great North Pacific Gyre e dell’Atlantico, tra Caraibi, Bermuda e Azzorre.
Sebbene non sia del tutto chiara la dinamica di questi enormi accumuli di rifiuti a spasso per i nostri oceani, è ormai accertato che il pericolo maggiore dei rifiuti plastici accumulati in mare sia costituito dai frammenti più piccoli. E’ stato stimato che i rifiuti plastici finiti in mare sono la causa di circa 1 milione di decessi di uccelli marini, di 100 mila mammiferi marini e di un numero non quantificabile di pesci [3].
Ricerche in questo senso stanno iniziando a prendere piede anche per il Mar Mediterraneo, sebbene, considerando la caratteristica di mare chiuso, verrebbe da dire che con tutta probabilità ciò che buttiamo a mare noi finisce, prima o poi, per ritornare alle nostre coste, o peggio, alle nostre case.
Al solito, con tutta evidenza, abbiamo iniziato a preoccuparci di un problema potenzialmente devastante con un attimo di ritardo. E forse stiamo dando in eredità ai nostri figli un altro bellissimo argomento. Che gli rovinerà la vita.
[a] Termine utilizzato dal premio Nobel per la chimica Paul Jozef Crutzen per indicare una nuova era geologica iniziata con la Rivoluzione Industriale e caratterizzata dalla capacità dell’Uomo di influenzare in maniera decisiva le dinamiche climatiche e dell’ecosfera del pianeta.
Riferimenti
[1] Gross M. (2013). Plastic waste is all at sea. Current Biology, Volume 23, Issue 4.
[2] Law, K. L., Moret-Ferguson, S., Maximenko, N. A., et al. (2010). Plastic accumulation in the North Atlantic Gyre. Science 329, 1185– 1188.
[3] Australian Marine Conservation Society
Foto di Enrico Paravani ©