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Vecchi relitti insegnano
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Vecchi relitti insegnano

22 Settembre, 2013 TerzaStrada Ambiente, Ambiente e cultura 1 comments

[heading style=”subheader”]La Moby Prince come la Concordia? [/heading]

Il “Moby Prince” brucia, al largo di Livorno, il 10 aprile 1991, facendo 140 vittime ed un solo superstite. L’ennesima tragedia italiana, senza colpevoli dopo 22 anni.

Lo scontro in mare con la petroliera Agip Abruzzo, in circostanze decisamente misteriose, sembra nascondere le responsabilità di una o più unità militari (o meglio militarizzate) statunitensi. La dinamica dell’accaduto, oggetto di una lunga controversia giuridica, fa durare a lungo il sequestro della nave. Ed è su questa parte della storia che vogliamo sollevare degli interrogativi.

Ciò che resta della nave viene quindi ricoverato, sotto sequestro, nel porto di Livorno, e lì attende oltre sette anni.

Una situazione che ricorda quanto in questi giorni si sta discutendo, attorno al destino del relitto della Costa Concordia ed al porto di Civitavecchia.

Occorre però sottolineare in premessa i soli 130 metri di lunghezza della Moby Prince, contro i 290 m del relitto del Giglio. Ed è bene ricordare che il traghetto era giunto in porto a Livorno perfettamente galleggiante.

 

Il relitto del Moby Prince affonda in porto

Trascorsi sette anni, il 17 maggio 1998,  l’acqua vince infatti la resistenza dello scafo corroso dal tempo e dalle fiamme. Dapprima lentamente, poi con maggior convinzione  invade i ponti inferiori del relitto, privo della necessaria manutenzione, e lo affonda nel porto di Livorno.

Lentamente la carcassa del traghetto scivola sino a poggiarsi sul fondale limaccioso del bacino toscano, a dodici metri di profondità.

Un disastro nel disastro. Una maledizione. Ma l’ennesima maledizione annunciata.

La nave è ovviamente deserta e non ci sono vittime.

Fortunatamente il pronto intervento dei rimorchiatori, impedisce alla nave di capovolgersi. Eppure il principale porto toscano, dal quale passavano allora in un anno circa 400 mila container, rimane parzialmente inagibile sino al mese di luglio.

Come per la Concordia, il successivo recupero viene affidato ad un consorzio internazionale, formato da Smit Tak e  Wijsmuller Svitzer. L’intervento degli esperti richiede circa 40 giorni per permettere al relitto di ritornare a galleggiare. La Navarma Lines, armatrice della nave, decide quindi di avviare ciò che ne resta al cantiere turco di Aliaga (il cimitero delle navi del Mediterraneo, che ha recentemente demolito anche la Costa Allegra), con la sola eccezione dei motori, ancora in buone condizioni.

Qui nasce un nuovo mistero nel mistero.

Ufficialmente la nave viene rimorchiata in Turchia. Un set di foto, disponibile on-line, ne dimostra l’arrivo e l’ormeggio presso il cantiere di Aliaga. Il giornalista Roberto Saviano dichiara però di avere le prove che una parte dei rottami della Moby Prince, forse estratti dalla nave durante le operazioni di recupero, siano stati illegalmente interrati dentro la discarica So.ge.ri di Castel Volturno, allora nella disponibilità del clan dei Casalesi.

Ancora una volta vediamo all’opera sciacalli che si arricchiscono all’ombra di una tragedia?

Ben quattro interrogazioni parlamentari, presentate nel mese di aprile 2013, sia alla Camera che al Senato, attendono ancora risposta nel silenzio generale. E nessuno le ha più reclamate.

Il prossimo smantellamento della Concordia, ovunque esso avvenga, è certamente un grande affare per le aziende che si occupano di gestione di rifiuti speciali. Una pratica costosa per il committente, delicata per l’ambiente ed estremamente lucrosa per chi trovi il modo di incassare il costo dello smaltimento, disfacendosi poi illecitamente dei rifiuti.

Il porto di Palermo, l’unico in Italia realmente in grado di gestire la “rottamazione” della sfortunata nave da crociera (per la profondità dei fondali e le disponibilità immediata di un bacino delle giuste dimensioni), sembra essere infatti interessato alla gestione della sola bonifica della nave.

Secondo Fincantieri, proprietaria del bacino e principale partner di Costa (per la quale sta già assemblando due nuove unità), la restante gestione del relitto sarebbe per il resto una dispendiosa, complessa ed infruttuosa operazione commerciale.

La Concordia verrà quindi a Civitavecchia? Probabilmente no. Come tutte le altre sorelle a fine carriera, anche l’ultima vittima dell’italico pressapochismo andrà ad Aliaga. Ma nel frattempo darà tanta bella visibilità agli sviluppisti che ben conosciamo.

Foto di Selim San.

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1 Comment

  1. klement
    27/11/2014 at 11:22

    Con tutto questo putiferio che si fa in Italia, si ha il coraggio di accusare l’India per l’affondamento di un peschereccio sgangherato che doveva provare chissà cosa

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