[heading style=”subheader”]“Abbiamo dovuto fare una scelta in Egitto, la democrazia o la stabilità”[/heading]
Questa è la frase che mi ha messo giù un tale incontrato una delle prima sere all’Hurryia, frequentato locale cairota, famoso per essere uno dei pochi posti dove potersi sedere a prendere una birra.
Avrei potuto e voluto dirgli come stabilità e democrazia potrebbero essere due cose parallele e interlacciate tra loro, ovviamente solo dopo essere stati in grado di metabolizzare il passaggio da un regime di durata trentennale come fu quello di Mubarak ad una nuova concezione di Stato democratico, e aver compreso quali sono pregi e difetti di una cosiddetta democrazia.
Sinceramente, ero troppo preoccupato di non farmi uscire dalla bocca qualcosa che potesse tradire il vero motivo per cui mi trovo al Cairo, ovvero il dirigermi verso il valico di Rafah ed entrare nella Striscia di Gaza.
Sì, perché dalla deposizione del presidente Morsi alla salita al potere dell’esercito, una specie di sentore anti-palestinese permea il tessuto della società egiziana, convinta che le autorità governative della Striscia, cioè Hamas, stiano tramando nell’oscurità per aiutare la Fratellanza Musulmana e riconquistare il potere in Egitto.
Credenze popolari o meno, è già abbastanza difficile farsi passare come un semplice turista senza mettersi a discutere sulla politica di un paese nel quale si deve far finta di essere in vacanza, cosa che a un vero turista importerebbe ben poco.
Voltaire diceva che per capire chi comanda basta scoprire a chi non è permesso criticare. Applicabilità o meno di questa affermazione alla realtà, molti egiziani la scorsa settimana sono rimasti sorpresi dalla chiusura di uno più popolari talk show satirici del palinsesto egiziano.
Bassem Youssef si è guadagnato la sua popolarità televisiva durante la scorsa stagione, quando nel suo programma non risparmiava frecciatine e colpi bassi all’establishment politico al governo in quel momento, ovvero i Fratelli Musulmani. Tornato in onda dopo 4 mesi di assenza, durante i quali l’esercito egiziano ha deposto Mohammed Morsi, ha pensato bene di potersi permettere di fare satira anche nei confronti dell’oligarchia militare tornata al pieno potere in Egitto.
Risultato: la seconda puntata della nuova stagione non è mai andata in onda, e per di più, Bassem Youssef si trova indagato per aver ridicolizzato l’esercito, e aver quindi leso gli interessi nazionali.
Egiziani sorpresi, ma non per questo contrari. Soprattutto al Cairo, soprattutto nelle zone centrali che si diramano da Piazza Tahrir, simbolo della rivoluzione contro Hosni Mubarak nel 2011, e del colpo di Stato contro Morsi pochi mesi fa.
Per tutte le vie intorno a Piazza Tahrir, le migliaia di locandine appese sui muri parlano chiaro: “Noi autorizziamo l’esercito egiziano”, riporto testualmente. Manifesti concisi ma significativi, che fanno il paio con gli striscioni inneggianti al Generale delle Forze Armate Al-Sisi che si trovano per strada appesi sulle facciate dei palazzi e con i venditori di poster che paragonano Al-Sisi ad Al-Nasser, indimenticato secondo Presidente della Repubblica d’Egitto.
Nonostante questo sia l’Egitto che si vede stando al Cairo, si riesce a percepire che la “stabilità” sopracitata non è poi ancora così stabile. A parte il coprifuoco in vigore ogni giorno dalle 0.00 alle 6.00 di mattina (dalle 19.00 alle 6.00 il venerdì), è proprio Piazza Tahrir a far capire l’insicurezza che vige ancora nel paese. Fino ad una decina di giorni fa, la piazza si presentava così:
Circondata da filo spinato, transenne e presidiata da doppie o triple file di carri armati e blindati, gli stessi che, durante il coprifuoco, la notte, si possono sentire muoversi per le strade della città. E sebbene da poco più di una settimana Tahrir sia stata riaperta alla circolazione automobilistica e al passaggio pedonale, la fermata della metropolitana Sadat che sbuca proprio nella piazza rimane chiusa, e le barricate, o per meglio dire, i veri e propri muri di pietra alti fino a 2,5-3 metri che sbarrano alcuni degli accessi alla piazza non vengono smantellati.
Senza calcolare che, a seconda delle giornate, come ad esempio il venerdì, giornata di preghiera, o lo scorso lunedì, giornata del processo a Morsi (rimandato all’8 Gennaio, per la cronaca) Tahrir ritorna ad essere blindata e presidiata in maniera più o meno massiccia.
Ma, a quanto pare, questa è la scelta fatta per arrivare alla stabilità e alla normalità. Per quanto normale possa essere lasciare nelle mani di un’oligarchia militare vita e morte degli establishment governativi di un paese.
Foto di Marco Varasio ©