“Il porto deve tornare alla città.”
“La città deve ripartire dal porto.”
“Il porto deve essere il volano economico di Civitavecchia.”
“La ricchezza del porto deve essere equamente divisa con i civitavecchiesi.”
Queste sono solo alcune delle affermazioni che sono riecheggiate nelle nostre orecchie negli ultimi mesi.
Affermazioni importanti, pesanti.
Frasi che sembrano aver trovato nello scalo la soluzione a tutti i problemi economici e sociali della nostra città.
Ma le cose stanno veramente così?
Si e no.
Il porto potrebbe essere veramente la gallina delle uova d’oro… ma c’è un problema: il porto sta morendo.
Visto dall’esterno questo non traspare, ma nei fatti la realtà è questa.
Negli ultimi vent’anni gli amministratori che si sono succeduti alla guida del comune e dell’AP si sono praticamente ignorati e hanno di fatto trasformato quello che da sempre era stato il cuore economico della città in un regno autonomo, una sorta di piccola San Marino all’interno di Civitavecchia.
La cosa appare ancora più grottesca se andiamo a rivedere gli ultimi vent’anni di vita politica della nostra città.
I nomi che risaltano sono sempre gli stessi. Gli incarichi sempre diversi ma equamente distribuiti in posti comunque pesanti, un turno al comune ed un altro nell’ente portuale… qualcuno è riuscito addirittura ad essere presente contemporaneamente in entrambe le istituzioni!
Tutto questo, se vivessimo in un paese normale, avrebbe dovuto portare la nostra città ad essere l’equivalente di un piccolo “principato” vista l’enfasi con cui si sottolineano i “primati” raggiunti dal nostro scalo.
E invece la realtà è un’altra.
La verità è che il porto di Civitavecchia, ma nei fatti anche la stessa città, sono realtà anomale.
In tutti i porti si cerca di diversificare i servizi offerti. Nel nostro porto invece sembra che si sia fatta una scelta: prediligere il settore crociere a scapito del commerciale.
Fino a tutti gli anni ‘90 del secolo scorso le banchine del porto erano equamente divise tra uso commerciale e “turistico”.
Con l’attuazione del PRP gli spazi disponibili sono di fatto aumentati ma sono cambiate le percentuali di assegnazione.
Da 7 (sette) banchine disponibili per la movimentazione merci siamo passati in pochi anni ad una esclusiva, utilizzata tra l’altro per ogni tipo di movimentazione, ed altre due la cui disponibilità però deve essere verificata giornalmente.
La nostra città ha sempre gravitato intorno al settore commerciale dello scalo.
A fine anni ’90 erano presenti nel porto decine di aziende che si occupavano di ogni cosa, dalla meccanica navale ai servizi.
Centinaia di posti di lavoro che i civitavecchiesi si tramandavano dagli anni del dopoguerra.
Poi improvvisamente, nel giro di pochi anni, è finito tutto senza che nessuno, e sottolineo nessuno, abbia veramente mosso un dito per cercare di cambiare le cose.
Si continua a parlare di demolire la Concordia nel nostro porto perchè oltre a essere il più vicino al relitto è “l’unico che possiede i requisiti necessari”.
Ma è davvero cosi?
Un’operazione del genere necessita di strutture al momento assenti nel nostro scalo.
Ad ogni obiezione in merito dall’AP arriva la stessa risposta: “Siamo pronti ad allestire un bacino in meno di sei mesi”.
Bacino che tra l’altro è previsto dal PRP da sempre.
Bacino che è ormai diventato leggendario (è stato tirato in ballo per la prima volta quasi venti anni fa da un sindaco appena insediato, sindaco che negli anni ha avuto poi una fulgida carriera politica) ma che nei fatti non è stato mai costruito, portando alla scomparsa decine di aziende che avrebbero potuto continuare ad esistere se soltanto si fosse pensato ad una pianificazione più intelligente delle opere infrastrutturali.
Si parla di mega terminal container da un milione e mezzo di TEU ma si dimentica sempre di dire che non se ne arrivano a movimentare nemmeno 60.000 all’anno (ed il terminal attuale ne può ospitare circa 500.000).
Si continua a parlare di poli di sviluppo, aree nel retroterra, di logistica… nei fatti abbiamo da anni un interporto finto, che al massimo funziona come magazzino esclusivo di una grossa catena di distribuzione.
La verità è che attualmente tutta l’economia cittadina è “drogata” dal carbone della centrale ENEL.
Con le oltre quattro milioni e mezzo di tonnellate movimentate il carbone risulta la panacea a (quasi) tutti i mali…
L’AP incassa. Una (piccola) parte di porto di lavora. L’amministrazione comunale firma le convenzioni mettendo tanti milioncini a bilancio, senza però riuscire a tirarsi fuori da una crisi che sembra ormai cronica.
Insomma con il carbone gira una gran quantità di soldi… ma nei fatti il giro è piccolo piccolo.
Per avere una conferma a questo, se mai ce ne fosse ancora bisogno, basta dare un’occhiata alle statistiche fornite dall’AP riguardo le movimentazioni delle “rinfuse solide”:
Come si evince dalla tabella il materiale movimentato nel 2013, tra imbarco e sbarco, è stato di oltre 5 milioni di tonnellate… di cui oltre 4 milioni sono stati carbone.
Il resto dei materiali movimentati, primo fra tutti il ferro cromo del famoso sequestro alla banchina 23 (tra l’altro ancora non se ne capisce la ragione…), sono in un pesante trend negativo.
Trend tra l’altro che si conferma pesantemente negativo anche nel primo trimestre del 2014…
Continuando ad analizzare i dati possiamo notare che il carbone segna un +3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno mentre l’altra grande risorsa del nostro porto, il “famigerato” ferro cromo, produce un -72%.
Questo dato catastrofico è legato a doppio filo alle sorti delle acciaierie di Terni, recentemente “riacquistate” dalla Thyssenn Krupp. Ma tutto questo non sembra colpire nè i nostri politici nè tantomeno i sindacati, che si ricordano della questione soltanto quando c’è da sfilare in TV (sorte del resto toccata anche ai lavoratori della Privilege Yard e di Elia/Servizi Integrati).
Vorremmo ricordare che intorno alla movimentazione del ferro-cromo ruota un indotto di almeno 200 persone, e quindi 200 famiglie… famiglie che molto probabilmente, a meno che qualcosa non cambi dal punto di vista dei rapporti tra le amministrazioni, dovranno interessarsi più del sindaco di Terni che di quello di Civitavecchia…
Se questa è la situazione dal punto di vista commerciale non è che il lato “turistico” sia poi così felice…
Il nostro porto è uno dei primi d’Europa per il traffico crocieristico e movimenta più di un milione di persone all’anno sulle linee delle Autostrade del Mare e verso la Sardegna.
Sono stati investiti, dalla fine degli anni 90 in poi, centinaia di milioni di euro sulle infrastrutture, creando nuovi attracchi e nuovi piazzali… ma i servizi dove sono?
Mancano terminal degni di questo nome, segnaletica e servizi igienici sono inseriti su tutta l’area portuale senza un preciso ordine logico e la mobilità e la viabilità sono più un incognita che una certezza.
Da anni si favoleggia di presunti terminal che le grosse compagnie dovrebbero costruire a loro spese e che incrementerebbero l’occupazione locale ma finora si sono viste soltanto “prime pietre”.
D’altro canto non è che si possa attribuire tutte le colpe solo all’AP: trasversalmente in tutte le sue amministrazioni dalla sua nascita ad oggi, visto che la stessa Amministrazione Comunale è stata per anni a guardare dalla finestra come si evolveva la situazione senza mettere sul tavolo un piano serio per lo “sfruttamento turistico” di questo bacino di utenza che sono i crocieristi.
Se all’interno del porto la situazione non è completamente organizzata, fuori dallo scalo regna il caos più assoluto.
Camminando per la città si trovano crocieristi che vagano senza meta nonostante il centro storico sia esattamente alle spalle del porto.
I bagni pubblici sono un’utopia, la mobilità qualcosa di scandaloso… e qui mi fermo altrimenti diventerebbe un bollettino di guerra.
Nonostante tutto questo c’è però ancora qualcuno che si ostina a ripetere che i crocieristi dovrebbero pagare una tassa di soggiorno (per usufruire di quali servizi ancora non ci è dato conoscere…).
Girando su internet capita spesso di imbattersi in documenti interessanti che riguardano la nostra città e casualmente, proprio nei giorni scorsi, è balzato fuori dalle maglie della rete questo testo: “Il porto di Civitavecchia tra limiti del passato e prospettive future” di Manuel Vaquero Piñeiro, membro della facoltà di Scienze Storiche dell’Università di Perugia.
Il saggio riassume brevemente (sono meno di 10 pagine), la storia del nostro porto a partire dal 1500 ad oggi (ad occhio e croce il testo è stato redatto intorno al 2010) e ne illustra la trasformazione da scalo prettamente commerciale a porto sostanzialmente turistico.
Senza entrare ulteriormente nei dettagli vorremmo citare una parte della sua conclusione, che ci ha molto colpito:
”…Nell’attualità, per la sola città di Civitavecchia il reddito derivante dal crocierismo è stimabile in circa
43 milioni di euro l’anno, con circa 500 persone direttamente impiegate nel settore nel porto. Il numero
degli occupati raddoppia aggiungendo ristoratori, albergatori, tassisti, agenti di viaggio e quanti altri
coinvolti in servizi offerti ai passeggeri e agli equipaggi…”
Meditate gente… meditate.
Foto di Giulio Santoni©