Mattina presto, il profumo del caffè entra nelle narici e stuzzica quella leggera prepotente voglia di muovere i passi in cucina. Fuori è ancora buio e l’unico rumore che rompe un silenzio ancora assonnato è il “miao” affamato dei miei tre gatti, uno più famelico dell’altro.
Metto la mia buona dose di miele nella tazzina e la giornata può pure iniziare, non prima però di aver versato la razione di croccantini per le tre pesti!
Una lavata al viso di corsa (non si capisce perché la mattina lavorativa si è sempre in ritardo), una ai denti e via, verso il posto di lavoro.
Appena varco la soglia della Bottega, una calda fragranza di legno dormiente si mescola al gusto ancora recente del caffè e la miscela ottenuta dai due aromi, mi fa inarcare le sopracciglia. Questo rito scandisce le mie giornate da più di venticinque anni.
Già, la Falegnameria, la Bottega Artigiana per eccellenza, almeno secondo me, visto che ci sono nato e cresciuto. Quella che tutti ti dicono “mi piacerebbe tantissimo fare il falegname, creare dal grezzo un prodotto finito” e poi si rifugiano dietro a fredde scrivanie. Quella che “il padre del padre di mio zio lo faceva ma poi ha dovuto chiudere perché non rendeva come doveva”. Quella che “mi commuovo quando entro qui dentro perché c’è profumo di Storia”. Quella insomma che, secondo il libro della Compagnia Portuale che cita il mio bisnonno Alfredo Paravani “Falegname”, da almeno 145 anni produce e opera nella città.
Come mi siedo alla scrivania, però, il romanticismo cessa di botto. Scartoffie e pezzi di carta mi riportano alla dura e triste realtà: non è tutto rose e fiori, anzi, ultimamente la crisi ha dato il colpo di grazia ad un settore che da sempre caratterizza la creatività del nostro paese, povero di materie prime ma abilissimo nella trasformazione delle stesse.
Un lavoro da alchimista, una professione da mago abilissimo, un’arte da realizzatore di sogni strozzata da un’economia di mercato BASTARDA che sfrutta il lavoro a basso costo in Paesi che non hanno nulla da perdere se non la dignità delle persone.
Sì perché la concorrenza del mercato globale è spietata, feroce, sciacalla. Ciò che a noi costa 100, in quei paesi costa 5 quando va bene, e arrivano prodotti concorrenziali a costo nullo. E la piccola Bottega si trova a fare i conti con i conti che non quadrano, con le materie prime che oscillano con la stessa variabilità dell’oro o del petrolio, non ultimo con le grandi distribuzioni che sconquassano le tradizioni e le culture.
Al di là dell’economia spicciola (ci sarebbe da aprire un capitolo a parte a riguardo), quello che più deprime è la continua morìa delle Botteghe. Con esse si perde un pezzo importante della tradizione italica: quella che gira con le maniche della camicia rimboccate sul serio e non solo per un manifesto elettorale. Un intero mondo di artisti del legno, del vetro, della ceramica, di tutto ciò che è stato per secoli il segno di riconoscimento del vero Made in Italy sta andando a rotoli. Per cosa?
Per politiche scellerate rivolte principalmente al mondo della grande industria, si parla da anni di “Cuneo Fiscale”. Ogni anno si tira in ballo questa formula magica per rabbonire i padroni di sè stessi: “gli Artigiani” altro che i Guerrieri della pubblicità dell’Enel!
Non si è stati capaci di valorizzare il vero polmone dell’industrialità nostrana. Si è scelto di far morire la nostra essenza, eppure basterebbe poco. I “Borghi” non servono, serve accessibilità al credito, magari con la garanzia delle amministrazioni (così come si era pensato in campagna elettorale). Serve un’associazione di categoria che metta in rete aziende e progetti, e non una Corporazione (CNA) capace solo di consorziare le aziende elette. Serve un sistema che sappia riconoscere professionalità e tradizione. Servono finanziamenti rivolti all’innovazione vera e non solo a quella “presentata” da Tizio o Caio.
Nel mio ufficetto, sommerso da carte e telefonate, mi ritrovo con la foto di mio nonno alle spalle, anche lui, come tutti della mia famiglia, Falegname. Sembra guardarmi con compassione, mi volto, mi accendo l’ennesima sigaretta e prendo appuntamenti per preventivi… si continua a preventivare, ma non si sa mica per quanto tempo ancora.
Ho spesso pensato di cambiare, non ufficio, ma produzione. Sono stato sul punto di mollare, ma questo bugigattolo di ufficio mi appartiene, è come una seconda pelle. Là, in falegnameria, quattro generazioni di artigiani si sono incazzate, si sono strette le mani, hanno progettato, hanno riso e hanno pianto. Pensare che un mio parente, in un caldo pomeriggio di luglio, ha deciso i salutare tutti e passare a miglior vita. Troppa vita là dentro, troppe voci, impossibile mollare senza provare una stretta al cuore, sapendo di non aver fatto la propria parte… e soprattutto avere la consapevolezza di essere parte integrante di qualcosa e non un “QUALCOSA” che passa e scorre via senza nemmeno lasciare traccia del proprio passaggio. Alla fine vincerà anche stavolta lei, la Bottega, e ‘sto bugigattolo che nemmeno riesco a buttare giù e che è radicato a terra come un eucalipto in pieno campo fiorito. E’ la mia vita, sotto ogni punto di vista.
“C’era una volta…
– Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.”
Divenne il burattino più famoso del mondo.
Foto di Enrico Paravani©
7 Comments
gabikam
18/10/2013 at 15:06fino a qui è arrivato l’odore del legno:-) io sono una di quelle che sta dietro una scrivania fredda ma con il calore del legno e delle belle parole nel cuore e nella testa. Buon Lavoro!
Pretty Heron
18/10/2013 at 17:50Proprio perchè amo il legno, quello vero, e rispetto il lavoro di chi ha prodotto artigianalmente e con passione un oggetto di qualità, per la mia casa sto scegliendo solo mobili creati dalle sapienti mani dei falegnami. Avere queste solide meraviglie in casa mi scalda il cuore e mi fa sentire bene. Non mollate, c’è ancora chi vi apprezza.
claudia
23/10/2013 at 13:47all’età di 24 anni ho aperto una Bottega nel mio paese. una corniceria…il mio sogno realizzato dopo aver appreso il lavoro da una donna che con pazienza ed amore mi ha trasmesso quello che sapeva fare… dopo tre anni ed un mutuo ancora da pagare il sogno è finito, spazzato via da troppe tasse e troppe spese…il lavoro c’era ma non era abbastanza!! e poi c’è chi dice: con tutte le cornici che vende ikea dove vuoi andare!!???…. Ora, ogni giorno, dietro la mia scrivania da ufficio, sogno ancora il profumo del legno e la bellezza dei colori… speriamo di tornare un giorno ad apprezzare le cose vere!!
enrico
24/10/2013 at 14:59sai una cosa claudia? tante volte troppe volte sono stato sul punto di mandare tutto e tutti a quel paese, per fortuna, e lo dico con tutta sincerità, l’istinto mi ha sempre fatto desistere dal mollare, non lo so cosa sia, l’attaccamento sviscerato ad un’arte che non è solo vendita e commercio ma è altro, qualcosa di più che entra nelle vene e non riesci a farne a meno,
Spesso mi trovo a dire: c’è chi lavora e chi prende lo stipendio, ecco in famiglia mia da Sempre siamo abituati a lavorare…!
Angelica
30/10/2013 at 15:56Un pò mi sono ritrovata in questo scritto, dall’età di 6 anni quando mamma lavorava il mio baby sitter era papà nella sua bottega di verniciatura legno, e ora che di anni ne ho 45 sono ( con i miei fratelli ) la titolare dell’azienda che era di papà. A chi mi chiede ” ma che lavoro è il tuo ? sempre sporca di vernici , tra la polvere ” io rispondo sempre la stessa cosa ” se i colori che uso potessero colorare l’animo grigio di tante persone , sarei l’artigiana più completa” .
Complimenti per il racconto , Angelica
chicca
02/11/2013 at 07:16sono quelli come te che non ti fanno sentire solo. grazie
enrico
02/11/2013 at 08:15Resistenti più o meno silenziosi, nonostante tutto e tutti