Ariecchime lettori di TerzaStrada sempre io che mi diverto di sera a fare i resoconti delle mie giornate perennemente di corsa.
Oggi il destino, o la scelleratezza delle persone, mi ha giocato un brutto scherzo, come sempre il fato ci ha messo lo zampino e mi sono trovato a scrivere rincorrendo le mie disavventure.
Pensavo di essere l’unico prigioniero di me stesso, invece vedo molti condannati dalle loro piccole incredibili convenzioni.
Certo non è semplice riconoscerle, eppure… eppure ci sono.
Mi trovo spesso a sorridere in faccia alle consolazioni virtuali che ci costruiamo per rendere decente uno straccio di vita che siamo costretti a vivere, finché morte non ci separi…
Ecco, la vita con noi stessi è un matrimonio col nostro io difficile da portare a termine, impossibile divorziare: la nostra cella è fatta di carne e ossa, non riusciamo nemmeno più nemmeno a progettare un’evasione decente da noi stessi.
Detenuti di noi stessi.
Mi capita di piangere spesso ultimamente, la troppa sensibilità rende il culo violentabile, carissimi lettori, ricordatevi che il pianto di un uomo che vede il male assoluto è espressione di profonda forza contro ogni ingiustizia, l’indifferenza non versa lacrime, solo chi è affacciato alle proprie sbarre riesce a comprendere le altre innumerevoli celle che rinchiudono le vite di altri suoi simili e le vive come se fossero sue quelle barre di acciaio che imprigionano libertà.
Avrei voglia adesso di sfondare questo portone e far uscire gli immigrati, i soldati bambini, le vittime di soprusi, chi aspetta un amore mai avverato, i disoccupati, i precari, gli sfruttati del terzo mondo, le donne violentate da guerre etniche, i malati incurabili a causa di un progresso omicida, i depressi soli e abbandonati a se stessi e, come un pifferaio magico, portarli lontano verso altre terre senza sbarre, senza limiti, senza serrature di sicurezza.
Forse sembreranno cazzate quelle che penso e scrivo, ma vi assicuro che per abbattere le nostre paure bisogna guardarle in faccia, e spesso la faccia che si vede è quella che riflette il nostro specchio.
E allora esco fuori guardo il tramonto, il sole, il mio sole che affonda nel mio mare, indico col dito la sua direzione, l’indice si sofferma su quella palla rossa, quasi a toccarla, cerco la sintonia con la luce che mi faccia comprendere di essere soli… insieme. Sono questi i momenti in cui la vita diventa un film, questo è uno di quelli, mi serve solo la colonna sonora giusta…”I’m easy”, sì, ci sta proprio bene, chiudo gli occhi e mi faccio scaldare dagli ultimi raggi…
Hola devastati, la mia cella l’ho aperta… a chi mi dice che sono pessimista io rispondo che sono realista, e odio quei cazzo di discorsi sul bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, io lo vorrei sempre pieno e che straripasse di quel vino che tanto adoro.
Foto di Enrico Paravani ©
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massimopantanelli
25/12/2013 at 12:50cincin