Perché si fa sperimentazione sugli animali?
Proviamo a spiegarla secondo il ragionamento comune agli studiosi della comunità scientifica:
“I test su animali oggi sono obbligatori per legge per testare l’efficacia e la tossicità di un prodotto, l’alternativa sarebbe quella (drammatica) di passare dalla teoria (le ipotesi scientifiche e le provette) direttamente all’uomo con tutto ciò che potrebbe conseguirne”.
Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, sostiene:
“L’utilizzo degli animali nella sperimentazione biomedica, allo stato attuale delle conoscenze e delle tecnologie disponibili, resta una necessità e non un’opzione. Lo impongono le regole internazionali per l’introduzione in commercio di nuovi farmaci, dettate dalla preoccupazione di ridurre i rischi del loro utilizzo da parte degli esseri umani. Senza la fase obbligatoria di sperimentazione di un farmaco o di una protesi sugli animali, ad esempio, si rischierebbe, come avvenuto in alcuni casi in passato, di creare gravi danni alla salute di migliaia di persone”.
Gli animali vengono utilizzati perché la legge obbliga a farlo, perché esiste molta resistenza al cambiamento (Rovida 2010), perché a volte la ricerca focalizzata sull’uomo viene frenata , secondo noi.
In effetti i metodi alternativi esistono e mirano sostanzialmente alla regola delle 3R, formulata da Russel e Burch nel 1959 . Essa fa riferimento a tre fondamentali concetti: rimpiazzare (replacement), ridurre (reduction) e raffinare (refinement). Il ricercatore dovrebbe inizialmente cercare, con il maggiore sforzo possibile, di rimpiazzare, o sostituire, il proprio modello animale con un modello alternativo; il secondo passo è quello di cercare di ridurre il più possibile il numero di individui utilizzati in un certo protocollo sperimentale; infine, con l’ultima R si intende l’impegno a migliorare le condizioni sperimentali alle quali sono sottoposti gli animali.
Esistono inoltre le metodiche sostitutive, che consistono in studi in vitro, colture di cellule sulle quali fare esperimenti o studi computerizzati che simulano il comportamento di molecole sugli organismi.
Ma cosa ostacola il passaggio dal CAM (modello animale alternativo) ai modelli completamente sostitutivi?
Innanzitutto c’è un reale problema di validazione delle metodiche, ossia ogni metodica deve avere una affidabilità (ripetibilità a lungo termine e in diversi laboratori) e una rilevanza ( una utilità della procedura per il fine prefissato), ciò richiede tempi molto lunghi che le aziende e forse anche la medicina non può attendere.
Un’altra ragione è, come sempre, una difesa ad oltranza dei posti di lavoro di un’industria, quella della sperimentazione, che difende strenuamente se stessa e i propri lavoratori (medici, biologi, veterinari, chimici farmaceutici). La terza ragione che ci costringe ancora ad utilizzare il modello animale o il modello murino è il fatto che non esistono abbastanza dati per creare un modello uomo (gold standard umano) ; l’assurdo è che il modello in vitro viene confrontato con il modello murino: praticamente due sistemi che ipoteticamente potrebbero essere vicini all’uomo. Potremmo quasi dire che l’uomo è considerato un topo di 70kg.
Claude Reiss, tossicologo molecolare, ex direttore di ricerca al Consiglio nazionale per la ricerca francese (Cnrs) di Parigi e presidente di Antidote Europe, una società privata che promuove lo sviluppo di metodi alternativi alla sperimentazione animale, sostiene:
“La ricerca animale per scopi veterinari è legittima: nessuna preoccupazione, ad esempio, per la ricerca sui gatti finalizzata a salvare altri gatti. Ma nessun veterinario sano di mente cercherebbe nei cani una cura per le malattie dei gatti, semplicemente perché sa che un cane non è un modello attendibile per un gatto. Allo stesso modo, nessun uomo sano di mente consulterebbe mai un veterinario per ricevere consigli sulle proprie malattie renali o cardiache. Il fatto che qualunque specie non rappresenti un modello affidabile per le altre è una questione di buon senso, ma può essere anche provata rigorosamente. Una specie è, infatti, definita dal suo isolamento riproduttivo: un gatto non può incrociarsi con un cane, né un cavallo con una mucca”.
Basti pensare per rendere ancor più efficaci le ragioni di Reiss che sarebbe assurdo studiare l’Hiv1 sugli scimpanzè, perché totalmente immuni.
Ovvio che il modello animale rimane molto lontano dall’idea di complementarità che vogliono i ricercatori ma appare ovvio che, in molti casi, lo studio cellulare (gruppi di cellule) esclude molte ricerche; un esempio concreto è il fatto che le cellule non potranno mai simulare la fame, la sazietà, la vista, le sensazioni.
Per colmare questo gap rimane di incrementare l’acquisizione di dati sull’uomo per creare un gold standard a cui applicare le metodiche più svariate.
Ma cosa hanno apportato di nuovo gli emendamenti alla direttiva europea recentemente approvati in Italia?
Sostanzialmente tre: divieto di xenotrapianti (i trapianti di cellule o organi tra specie diverse), divieto di allevamento, anestesia obbligatoria, divieto di uso a scopo didattico, regolamenti più restrittivi.
Proprio il divieto degli xenotrapianti ha determinato la protesta a Settembre dello scorso anno di fronte a Montecitorio perché , secondo gli scienziati di “Pro Test Italia”, metterebbe a rischio molti posti di lavoro nel nostro paese escludendo l’Italia dai bandi di concorso Europeo per i fondi alla ricerca.
Secondo noi, il decreto afferma, ancora una volta, allo stato attuale, il bisogno della sperimentazione animale, almeno fino a quando le metodiche completamente sostitutive elimineranno il bisogno degli animali nella ricerca. Certo una spinta propulsiva verso la standardizzazione delle metodiche sostitutive sarebbe auspicabile come una loro velocizzazione nella loro validazione.
Fino a quando la comunita’ scientifica sosterrà che l’unica opzione rimane il modello animale non ci sarà mai un vero “progresso” etico nella ricerca.
Foto di Enrico Paravani©