La carcassa era lì davanti a lui. L’aveva fiutata parecchi minuti prima e ne era seguito un agguato nella boscaglia.
Il cane, da solo, si aggirava per gli alberi annusando e pisciando qua e là.
Millenni di evoluzione coatta per creare l’illusione dell’invulnerabilità alle leggi della natura. Ecco cosa aveva tradito quel cane.
Il maschio alfa l’aveva seguito sottovento per centinaia di metri. Il suo cervello efficiente elaborava i segnali con grande velocità.
Il leggero rumore delle zampe del cane sulle foglie e tra gli arbusti e il suo pungente odore concentravano sempre più la determinazione del maschio alfa.
Non era questione di territorio.
Il lupo aveva fame.
Il primo attacco prese alla sprovvista il cane. Eppure l’attacco andò parzialmente a segno. Il morso del lupo si conficcò profondamente dentro la muscolatura della coscia.
Il sangue iniziò a colare.
E l’odore, quell’odore inconfondibile, restrinse le pupille del lupo.
Spilli neri conficcati nella fame.
Il cane dopo essersi liberato dalla presa valutò per un attimo una difesa estrema fronteggiando il suo nemico.
Poi quegli occhi lo convinsero a cambiare idea.
E allora l’istinto di sopravvivenza lo gettò in una fuga disperata tra gli alberi.
La sua gamba era ormai come un tracciante luminoso in piena notte. Il lupo lo avrebbe trovato anche ad occhi chiusi. Era solo questione di tempo.
Le viscere violacee giacevano sparse vicino ad un pino ormai fattosi scheletro. Le mosche e le formiche si erano destate anche loro per l’inaspettato banchetto.
Il rumore delle ossa che si frantumavano sotto i 150 chili per centimetro quadrato della stretta dentata del lupo risuonava nel silenzio del paesaggio.
Sullo sfondo le macerie della Città con le navi, anticamente attraccate in porto, ormai ridotte a metalliche balene spiaggiate a riva. Dove un tempo c’era il mare ora si trovava una distesa di sabbia a perdita d’occhio. All’orizzonte i crateri da impatto davano la prospettiva alla desolazione.
Il vento fischiava tra le finestre dei palazzi abbandonati. Il lupo sapeva che quel posto era ormai a secco di prede. I palazzi sembravano fissarlo con orbite vuote.
Poi un colpo da dietro lo spinse verso terra. Solo dopo arrivò il rumore sordo. Il lupo ormai con il muso immerso nell’erba grigiastra poteva cibarsi solo dell’odore della terra e della decomposizione.
Riusciva ancora a sentire il rumore ritmico di qualcosa che si stava avvicinando nonostante l’odore del sangue, del suo stesso sangue, si facesse sempre più intenso.
Poi davanti alla sua testa piegata da una parte e con la visuale parzialmente oscurata dalla paralisi e dal sangue, comparve uno strano essere coperto da pellicce colorate. Un animale che spesso aveva osservato da lontano e che l’aveva sempre spaventato. Non conosceva niente che si muovesse solo sulle zampe posteriori.
Il lupo non vide mai gli occhi del suo predatore.
L’ultima cosa che vide fu una strana zampa, scura stretta e lucida. Poi il nulla.
Foto di Enrico Paravani©