Il turno di notte attendeva G, quel giorno.
Dopo una rapida cena, G aveva salutato la moglie e si era recato al lavoro con l’auto, come altre centinaia di volte.
Come altre centinaia di notti lo aspettavano otto ore da capo turno presso la Centrale Termoelettrica, un mostro da 2000MW di potenza in grado di bruciare, in un anno, l’equivalente in volume di carbone di una Piramide di Cheope e mezza.
Quel giorno G, l’aveva passato in centro assieme alla famiglia. La moglie l’aveva persino accompagnato al seggio elettorale.
G non era mai stato un tipo politicamente troppo schierato. Aveva sempre avuto un atteggiamento piuttosto guardingo nel distribuire i suoi voti, sia a livello locale che nazionale. Perlopiù aveva sempre cercato di esprimere le sue preferenze in funzione delle esigenze individuali sue e del suo contesto, sia famigliare che lavorativo. Quella volta era stato in dubbio fino alla fine. Poi aveva deciso di esercitare il suo diritto, ancora una volta. Forse con ancora meno convinzione rispetto a tutte le altre volte.
Ad ogni modo, dopo un breve tragitto, era arrivato in Centrale, per prendere posto, come al solito, in Sala Controllo.
Non era certo un locale affollato quello. Erano solo in quattro di turno per quella notte.
Si stavano già attrezzando per il primo caffè della nottata, quando la console di controllo della pressione e della temperatura del vapore iniziò a segnalare un’anomalia al condotto 3B del Secondo Gruppo.
G, abituato a segnalazioni di quel tipo, si era avvicinato alla console, con la tazzina del caffè ancora fumante in mano. Serviva comunque un consulto con i colleghi della Sala Numero 2 per un controllo incrociato.
Proprio mentre G stava pensando di prendere contatto con i colleghi della Sala 2, tutto, attorno a lui, iniziò a tremare. Il pavimento sembrava essersi fatto liquido.
La scossa lo fece quasi cadere sulla console. I suoi tre colleghi stavano già preparandosi ad una fuga rapida verso l’uscita.
G, con le tempie che pulsavano per l’adrenalina, iniziò a correre verso la porta. Gli allarmi ormai suonavano ininterrottamente, ma erano distinguibili, nel corridoio, le grida degli altri colleghi e degli operai. Tutti, piuttosto disordinatamente, cercavano di guadagnare l’uscita.
Poi, all’improvviso, un boato assordante e uno schianto.
G si rese conto di avere la guancia a contatto col pavimento. Il corridoio era pieno di fumo. Gli impianti elettrici sembravano aver smesso di funzionare.
Stordito G riuscì a guadagnare la salvezza, attraverso l’oscurità, verso l’esterno.
Altri dipendenti erano raccolti davanti all’ingresso e tutti, increduli, guardavano verso il Dome numero 2.
Un foro di svariati metri di diametro si intravedeva nel lato Sud della struttura di raccolta del carbone, tra una densa coltre di fumo.
Poi, all’improvviso, un grido raggelante scosse i presenti.
Un operaio indicava un punto preciso nel cielo.
Tutti volsero il loro sguardo verso un oggetto luminosissimo che stava attraversando il cielo, da Sud verso Nord, con piccoli frammenti sfrigolanti attorno e una coda tracciante luminescente e azzurrognola. Uno spettacolo pirotecnico che sembrava risuonare con i cavi dell’alta tensione attorno alla Centrale. Tutti chiusero gli occhi per l’accecante lampo di luce, quando l’oggetto, quasi con noncuranza, colpì a mezza altezza la colossale ciminiera della centrale, tagliandola in due come un grissino.
G, colpito da una pioggia di detriti, si gettò a terra e si racchiuse in posizione fetale.
“Stavolta ci fanno chiudere”.
Illustrazione di Silvia Castrati ©