A due settimane dal voto e dalla proclamazione dei vincitori di queste elezioni, iniziamo a fare i conti con i dati reali delle elezioni.
Partiamo da Forza Italia e Berlusconi.
Berlusconi è apparso “bollito” come mai, in tutti i sensi. In alcuni filmati, postati sui social, sembrava Carlo Conti a 80 anni che vende materassi ma con una notevole difficoltà a ricordare se fossimo ancora nel ’94 con la £ira o nel 2018 con l’€uro (confondeva un milione con mille e mille con un milione mischiando a tratti il milione di posti di lavoro con mille euro)
Con questo risultato elettorale e con l’età che avanza (c’è ancora un 14% di italiani che lo vota nonostante abbia pagato per 20 anni la mafia), probabilmente non lo vedremo più.
La coerenza del #MidimettononfacciopiùpoliticaseperdomenevadoRenzi ha dato i suoi frutti: bocciato senza passare dal via.
Il Pd, 18,7%, è al minimo storico ma con ancora la possibilità e speranza di avere un peso.
La supervalutatissima Emma Bonino (2,5%),
una pizza 4 stagioni, una vera pizza, massacrata da Travaglio in una trasmissione televisiva, in cui gli ha ricordato di essere stata con tutti, è definitivamente finita.
La Lega e il M5S raccolgono invece il voto di pancia della popolazione, dividendo di fatto in 2 il paese.
Il Regno delle Due Sicilie va al Movimento, che comunque tiene bene anche al nord, il resto dell’Italia se lo prende il centro destra con l’apporto fondamentale di Salvini.
Anche se devo capire come sia possibile incoronare vincitrice la Lega di Salvini (17,4%) che ha preso meno voti di Renzi e che ha raggiunto un quasi 36% in una coalizione in cui erano e sono ancora tutti Presidenti.
Gli altri? Tristemente non pervenuti, dal venticello Civati a Grasso.
Il Movimento e l’Onda Di Maio si prende un 32,7%, risultato incredibile che cozza con quello della spiaggiata Lombardi alla regione Lazio (27,3%).
Una situazione che non consente a nessuno di poter governare se non con apparentamenti (legge elettorale scritta e voluta così).
Possibile allora un appoggio esterno del Pd al M5S o, ed è quello che ritengo impensabile, tra M5S e Lega?
Per capire cosa accadrà, a mio avviso, bisogna guardare con attenzione alla Regione Lazio.
Nella Regione Lazio la vittoria è andata al Pd di Zingaretti, alla sua voglia di sostituirsi a Renzi alla guida del Pd, ma non ha la maggioranza dei consiglieri.
Il M5S potrebbe far leva proprio sulla situazione della Regione Lazio per poter ottenere l’appoggio esterno in Parlamento del pd.
Zingaretti avrebbe la strada spianata per il governo della Regione ed una corsia preferenziale per la segreteria del Pd, anche perché risulta l’unico piddino vincente, permettendo al Pd di non sparire dalle cartine geografiche della politica moderna nonostante l’impegno profuso da #midimettononfacciopiùpoliticaseperdomenevadoRenzi.
Per Zingaretti sembrerebbe tutta in discesa.
E per Di Maio e il M5S?
Come far digerire all’elettorato ed ai talebani attivisti, un appoggio esterno del Pd in Parlamento ed il “tacito condono” delle malefatte laziali?
Dopotutto, per anni, i consiglieri del m5s ci hanno raccontato degli sfaceli nella sanità regionale, della mancanza di democrazia dentro le aule, dei problemi con l’immondizia, la mancanza di moralità all’interno di quella regione che avrebbe dovuto dialogare con Virginia Raggi e Roma.
E forse la chiave sta proprio qui.
Far dialogare Zingaretti con Virginia Raggi, acerrima “nemica” della Candidata Presidente Roberta Lombardi, colpevole di una campagna elettorale inadeguata, bypassando i consiglieri regionali, che non avrebbero alcuna possibile presa sullo stesso Zingaretti ma che sarebbero fondamentali subito dopo in chiave regionale e nazionale.
Di Maio ha, in più occasioni, dimostrato di aver in grande considerazione i Sindaci del Movimento che si battono, nei territori devastati che vanno ad amministrare, con i fatti e Virginia è una di questi.
Potrebbe puntare sulla derenzizzazione del Pd, sulle riforme che vanno proposte immediatamente e che deve essere il movimento stesso ad attuare, dimostrando agli ultimi scettici che il Movimento sa governare.
Legge elettorale, taglio del costo della politica e porre le basi per il reddito di cittadinanza.
Pochi punti, linea chiara sulla politica degli Interni e su quella Estera ed eventuali missioni.
Tutto per iscritto, con una data, poi al voto. Chi non lo rispetta è politicamente morto.
Si garantirebbe così la governabilità avendo un interlocutore, Zingaretti, con cui parlare su questioni condivise.
Il Pd derenzizzato sarebbe salvo e il centro destra affossato per la sua incapacità di creare un’alternativa valida ed essere stato sotto scacco per 20 anni di Berlusconi, Dell’Utri e del gruppo Fininvest.
Il popolo del Movimento, capirebbe.