#TerzaStrada riceve e pubblica una lettera di Luciano Damiani.
Debbo dire che non mi sto entusiasmando del dibattito politico di questi giorni… i partiti e non solo quelli, non riescono a proporre progettualità ed idee che siano qualcosa più che slogan elettorali. Per lo più c’è aria di scontro, come solito del resto, c’è sempre chi incolpa qualcun’altro di aver o non aver fatto. C’è poi chi rimprovera ad altri di stare dalla parte sbagliata, o meglio, rimprovera la supposta “incoerenza” altrui.
Ma parlare di progetti al di la dell’elettoralistico faremo questo e quello? La politica pare sia capace solo di farsi forza di quello che ha fatto e di quello che non hanno fatto gli altri.
Tristezza.
Ancor più triste è leggere dibattiti su coloro che fanno la “guerra da dentro” e quelli che la fanno “da fuori”, parole sprecate. Meglio sarebbe farsi forza l’un l’altro quando la meta è la stessa. Qualcuno avrà più ragione di altri, su questo non c’è dubbio alcuno, qualcuno si accorgerà prima o poi di aver sbagliato ed anche qui non c’è ombra di dubbio. Se coloro che hanno la stessa “meta” condividessero l’esperienza piuttosto che evidenziarne o affermarne la giustezza il dibattito prenderebbe tutt’altra piega. Penso che la diversità dei talenti e delle proprie peculiarità è ricchezza condivisa quando piuttosto che essere limite all’azione unitaria ne diventa lievito ispiratore.
Questo è un discorso, valido in linea generale, prende spunto dalla polemica, la chiamo così ma non credo in realtà che lo sia, nata fra chi ritiene che il “partito” sia comunque la “fonte” imprescindibile della politica e fa la sua parte all’interno di questo, nonostante tutto, e coloro che reputano di farlo al di fuori non ritenendo “sopportabile e ammissibile” l’espressione attuale del partito di cui sopra. Quindi messa così è questione di “misura”, per alcuni la goccia ha fatto traboccare il vaso da tempo per altri ancora no. Ma è questione di misura? Non facile rispondere.
In proposito, per dire la mia, penso che siano stati superati tutti i limiti sopportabili e “battibili” se non con una azione drastica e rumorosa, ma è il pensiero “mio”, altri la pensano diversamente ma la meta è la stessa ed allora pur non condividendo metodo e posizione posso però condividere esperienza informazione ed azione per essere forte della forza dell’altro, ribadirne le differenze serve solamente a scavare un solco sempre più difficile da superare. L’obiettivo strategico di una sana politica è comune ma come in tutte le guerre per raggiungerlo c’è bisogno di far battaglie di tipo diverso, su campi diversi e con armi diverse. Una grande azione di condivisione delle diversità è necessaria per “sperare in un mondo diverso”. E’ quindi questione di “differenze”, ma le differenze separano? Dipende, direi, dipende da quanto siamo capaci di tramutarle in ricchezza sempre che abbiano la stessa “meta”.
Io in questo PD non ci starei, ma rispetto profondamente chi, intellettualmente onesto, pensa di combattere questo PD dal suo interno e mi domando cosa sarebbe se non ci fosse opposizione interna, al di là del fatto che serva o meno a qualcosa, questa domanda mi pare affatto peregrina e anche questa con difficile risposta tanto più difficile quanto più “importante” ne è la sua comprensione. Ma il discorso mi porta a considerare un’altro quesito: “cosa sarebbe questo PD se tutti quelli che ne sono usciti fossero rimasti dentro? Purtroppo nessuno ce lo può dire e questa diatriba tra chi sta dentro e chi sta fuori mi pare l’eterna debolezza della sinistra italiana, l’incapacità di essere unita. Non penso quindi che sia una questione di “misura” ma bensì di “differenza” e, scusatemi il bisticcio di parole, la differenza la fa il modo con cui questa è vissuta ed interpretata.