[heading style=”subheader”]Lettera a #TerzaStrada da Luciano Damiani[/heading]
Fra tanti aspetti negativi di questo “fenomeno” ce n’è uno che investe direttamente la persona, i suoi comportamenti e la sua coerenza di pensiero e la globalizzazione sa giocare a nascondino.
In questa era caratterizzata dalla diffusione e dalla condivisione delle informazioni e delle notizie senza limiti di spazio ed in tempo reale, credo siano veramente poche le persone che non abbiano qualche idea di cosa sia la “globalizzazione”. Certo molti meno sono coloro che ne conoscono gli aspetti più nascosti, in genere si sa che “sono state abolite le frontiere commerciali” e che per questo i paesi avanzati soffrono la concorrenza dei paesi in via di sviluppo che riescono a produrre beni a costi infinitamente più bassi, non solo grazie al minor costo della mano d’opera ma anche grazie alle “regole”, in termini di sicurezza nel lavoro e di garanzie nella produzione dei beni.
Ovviamente la faccenda è assai più complessa ed ha innumerevoli aspetti “oscuri”.
Sebbene in questa occasione mi voglia soffermare su un aspetto specifico, mi viene d’obbligo dire due cose sulla globalizzazione e citare alcuni dei “lati oscuri” di cui non tratterò e per i quali occorrerebbe una specifica discussione.
In buona sostanza per “globalizzazione” si intende una operazione che ha e sta abbattendo le barriere ideologiche e strutturali presenti fra i vari mercati nazionali e sovranazionali. Una sorta di “abbattimento delle barriere architettoniche”. Il “deus ex machina” di tutto ciò è il WTO World Trade Organization (Organizzazione Mondiale del Commercio). Le trattative avvenute tra gli anni 80 e 90 hanno portato alla nascita nel 95 di questa organizzazione che si pone come obbiettivo la risoluzione dei problemi commerciali fra i paesi, cito il sito ufficiale: “Essentially, the WTO is a place where member governments try to sort out the trade problems they face with each other”.
Evito a questo punto di cascare nelle tentazioni “complottiste”, sebbene in gran parte vere e plausibili, poichè mi voglio soffermare sugli aspetti che investono i comportamenti delle persone e le questioni di coerenza.
Il WTO nel tempo è divenuto una sorta di regolatore del mercato sostituendosi alle politiche nazionali o controllandole che solitamente si esprimevano in politiche dei dazi ed accordi tra i singoli stati. Quello che tutti vedono e toccano con mano è la disponibilità di prodotti provenienti da tutto il mondo spesso a prezzi assai competitivi. Il lato oscuro più comunemente conosciuto nei paesi sviluppati è quello che si traduce nel decremento della occupazione o della “qualità delle condizioni di lavoro”, ma ce ne sono di altri, come ad esempio l’appropriazione di beni e territorio da parte di “stranieri”, anche e sopratutto in forma di “gruppo finanziario” o come la pratica sempre più diffusa della “delocalizzazione”, ovvero lo spostamento delle produzioni nazionali all’estero. Eclatante è l’esempio di FIAT ma non meno importante la somma di tutte quelle piccole e medie aziende italiche che hanno trovato più conveniente produrre all’estero prodotti che magari conserveranno l’idea di “prodotto italiano”. Cito brevemente altri due “lati oscuri” meno conosciuti ai più o per lo meno che pochi imputano alla globalizzazione: un aspetto riguarda la “fuga dei cervelli” anche in termini di “giovani imprenditori” e quindi di iniziativa imprenditoriale, l’altro riguarda il problema dell’appiattimento delle produzioni alimentari, ovvero il progressivo scomparire dei prodotti tipici del territorio una sorta di vero e proprio percorso di estinzione della biodiversità alimentare.
Il lato oscuro, però di cui mi preme in questa sede discutere, è quello forse più oscuro di tutti, è quello che riguarda le coscienze, il modo di essere ed i comportamenti individuali e delle amministrazioni, riguarda la consapevolezza di essere “strumento attivo” del processo di globalizzazione, strumento attivo di quel processo che porta a cumulare il potere vero nelle poche grandi mani che governano il mondo attraverso il “mercato”. Il discorso riguarda quanti, detrattori e/o comunque critici di quanto ricade nella definizione “globalizzazione”. Questi si rendono forse conto di essere spesso “artefici” della globalizzazione? Forse che si forse che no, in realtà spesso è quasi impossibile sfuggirne. Emblematico esempio della quasi impossibilità di essere sempre e comunque coerenti sta in uno dei prodotti più comuni e quotidiani: la salsa di pomodoro. Molto probabilmente la nostra amata pasta al pomodoro ha gli occhi a mandorla e non abbiamo modo di saperlo, basta infatti che il pomodoro subisca un certo numero di lavorazioni in italia perchè perda la caratteristica di prodotto made in China.
In un procedimento giudiziario contro l’uso di pomodori cinesi, così la difesa argomentava: “La tesi difensiva portava avanti dagli avvocati dell’imputato puntava a sostenere che il processo di lavorazione cui il prodotto era stato sottoposto in Italia (pastorizzazione e aggiunta di acqua e sale) sulla base della normativa doganale è da considerarsi “lavorazione sostanziale”, e quindi il concentrato di pomodoro può essere commercializzato come concentrato di pomodoro prodotto in Italia” (fonte) Altre volte la coscienza “no global” viene fortemente messa alla prova: ogni qual volta ci troviamo a dover acquistare prodotti che mostrano una differenza di prezzo notevole rispetto al made in Italy. Altro classico esempio ne è l’olio che ingannevolmente appare ed è dichiarato “prodotto italiano” anche se andando a leggere le etichette, sempre più minuscole, si viene informati che il prodotto è fatto con olii ed olive “provenienti da paesi comunitari” o altro.
Servendoci del più insignificante prodotto o del più costoso servizio, spesso e volentieri diamo una mano alla “globalizzazione”. Del resto ormai anche le “proprietà” azionarie delle grandi e medie società non sono facilmente riconoscibili.
Se inconsapevolmente siamo artefici della globalizzazione è pur vero che abbiamo frequentemente la possibilità di scegliere magari spendendo al mercato piuttosto che al supermarket oppure scegliendo prodotti artigianali e così via, ogni volta che sia possibile. Purtroppo, troppo spesso, la coerenza pesa notevolmente sul portafoglio ed ecco che il “lato oscuro” della globalizzazione si fa forte della
“necessità” per alimentare il suo processo, nonostante la consapevolezza di chi non si fa facilmente ingannare. La globalizzazione sa giocare a nascondino, esser coerenti è difficile per mille motivi, ma a volte si può.
Il problema di coerenza riguarda anche le “amministrazioni locali”, spesso vincolate alle esigenze di bilancio, queste hanno un arma potente in mano, ovvero quella della programmazione e progettazione del futuro. La politica può scegliere se favorire la crescita e lo sviluppo delle “potenzialità locali”, delle ricchezze presenti nel territorio favorendo l’iniziativa dei propri cittadini, invece di richiamare capitali esteri per investimenti in settori o lontani dalla vocazione locale oppure permettendo a “stranieri” di appropriarsi dei talenti del territorio espropriandone le genti locali. Esempio classico è la destinazione d’uso di parti di territorio a servizio del commercio internazionale piuttosto che una destinazione d’uso turistica per l’imprenditoria locale sotto forma di azienda privata o cooperativa.
Anche le amministrazioni, quindi, hanno “bivi” da attraversare, scelte da fare coerentemente col proprio pensiero o con quello che dicono di essere, sicuramente con responsabilità maggiori.
Luciano Damiani
Foto di Enrico Paravani