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Tarquinia al confine della terra dei fuochi?
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Tarquinia al confine della terra dei fuochi?

16 Ottobre, 2013 TerzaStrada Ambiente, Ambiente e cultura, Approfondimenti, Cultura, Politica e attualità 0 comments

[heading style=”subheader”]ENEL autorizzerà la pubblicazione dei dati del CRA sui metalli pesanti nel suolo del comune viterbese?[/heading]

I lettori di Terzastrada hanno imparato che il carbon fossile contiene numerosi metalli pesanti, dal mercurio all’arsenico, alcuni dei quali radioattivi, come l’uranio o il torio. Il termine “pesanti” descrive l’elevato peso atomico di questi elementi (pensate che con l’Uranio si realizzano i proiettili perforanti per l’artiglieria anticarro!).

Come è facile immaginare, elementi così pesanti tendono a precipitare al suolo ed a contaminarlo, particolarmente nell’area a ridosso della sorgente, per fenomeni di fallout.

Le centraline ARPA e quelle dell’Osservatorio Ambientale, che monitorano la qualità dell’aria a Civitavecchia e dintorni, non rilevano affatto questi elementi, non essendo provviste della necessaria tecnologia. Sarebbe tra l’altro poco logico monitorarne i livelli nell’aria, risultando molto più interessanti le concentrazioni nel terreno, ove essi tendono ad accumularsi nel tempo.

Una convenzione tra ENEL, Comune di Tarquinia e CRA (Centro di Ricerche Agroalimentari) stabilisce che dall’avvio della centrale di Torrevaldaliga Nord (nel 2009), per cinque anni, vengano campionati i terreni del comune viterbese  e monitorati i livelli di metalli pesanti. Tali dati, come vi spiegavamo nel post di ieri, non sono però mai stati pubblicati. Si attende, dicono dal CRA, il “via libera” di ENEL alla diffusione dei dati.

A cosa servono quindi questi dati?

I dati di queste campagne di monitoraggio si basano sulla misura delle concentrazioni di alcuni metalli pesanti (espressi come peso rispetto al peso totale del campione di suolo, ad esempio milligrammi di un determinato elemento per ogni chilo di suolo). Chiaramente questa attività di studio è fondamentale per la valutazione della tendenza al rapido accumulo di metalli pesanti nel suolo rispetto al contenuto originario dei terreni (quest’ultimo tende per natura a rimanere costante nel tempo). Ovviamente una concentrazione crescente di anno in anno potrebbe essere facilmente correlata all’attività della centrale.

Come fare a comprendere quale è il contenuto “naturale” del terreno, in metalli pesanti?

A questo scopo l’accordo comprendeva l’esecuzione di una campagna di campionamento da effettuarsi prima dell’entrata in funzione della centrale. Si sarebbero così definiti i valori di fondo/fondo antropico del terreno (cioè valori di riferimento che esprimono il contenuto “storico” dei terreni e gli effetti inquinanti pregressi) da usare come valori di partenza, con i quali confrontare quelli successivi all’inizio dell’esercizio della centrale a carbone.

Quali pericoli corriamo?

L’utilizzo a fini agricoli di terreni contenenti elevate concentrazioni di metalli pesanti comporta l’ingresso di questi metalli negli ortaggi e nei foraggi che vi vengono coltivati. L’arsenico, il mercurio, l’uranio, il torio entrano così nei tessuti del bestiame e degli esseri umani che si alimentano con tali prodotti, accumulandosi nel tempo.

I metalli che ricadono in mare, o che vi vengono trascinati dai corsi d’acqua, vengono distribuiti su vaste aree dalle correnti marine e quindi assorbiti dai micro-organismi marini, dalle alghe e dai vegetali che successivamente ingeriti dai molluschi e dai pesci, vengono ulteriormente accumulati nei pesci predatori dalla vita più lunga (tonni, pesci spada, ecc…).

Chi si ciba delle carni del bestiame e del pesce contaminato, accumula negli anni ulteriori quantitativi di metalli. Il nostro organismo è infatti incapace di espellere questi elementi e tende ad accumularli a livello epatico, del grasso sottocutaneo ed addominale e del sistema nervoso centrale. I metalli si accumulano così per anni, senza trovare via d’uscita. L’animale predatore (e l’Uomo è in cima alla piramide alimentare) diviene così un accumulatore naturale di metalli ed è soggetto a concentrazioni crescenti nel tempo attraverso questo meccanismo detto di biomagnificazione.

Quali sono gli effetti sulla salute dei metalli pesanti?

L’esposizione all’arsenico comporta un notevole incremento del rischio di neoplasie, malattie cardiovascolari, disordini neurologici, così come il rischio di mortalità per cause varie. Arsenico, mercurio e cadmio possono inoltre indurre danno renale, osseo, al senso dell’udito . Recenti evidenze scientifiche suggeriscono un ruolo per i metalli pesanti nella genesi dell’autismo e della sindrome da deficit dell’attenzione nei bambini.  L’esposizione al manganese ha invece effetti deleteri sul sistema nervoso, particolarmente in età pediatrica.

L’assorbimento dei metalli pesanti, in specie quello di sostanze radioattive, può danneggiare la catena del DNA, posta nel nucleo delle cellule, che codifica le informazioni per ognuna delle nostre funzioni. Ciò può variare la tendenza delle cellule a proliferare, causando neoplasie, ma anche alterare un numero elevatissimo di funzioni, generando uno spettro vastissimo di malattie, non solo tumorali. Il danno così provocato è ereditabile da una generazione all’altra.

In altri termini il danno subito da un adulto avrà elevate probabilità di essere presente anche nel patrimonio genetico dei figli e dei nipoti. Il danno ambientale passa così dalla salute del singolo alla salute di una intera popolazione.

Perchè è importante conoscere i dati in questione?

Se realmente si stanno accumulando metalli pesanti nel terreno delle nostre campagne, gli effetti sulla salute saranno evidenti nei prossimi anni  e l’epidemiologia, che studia la frequenza delle malattie, rivelerà il fenomeno in un arco temporale stimabile in almeno 5-10 anni (a patto che si effettuino delle campagne di studio sistematico). Troppo tardi.

Misurare il fenomeno chimico-fisico dell’accumulo dei metalli è una metodica di analisi in tempo reale. Si possono così prevenire migliaia di morti, cambiando la storia di chi è altrimenti condannato alla sofferenza ed all’invalidità se non addirittura alla morte.

Se invece i dati dovessero negare questa ipotesi, la cittadinanza potrebbe guardare alle centrali con occhio più sereno, riprendendo fiducia nell’operato dei manager delle aziende e della classe politica che è chiamata a curare, oltre all’emergenza occupazionale, anche la vita (in qualità e quantità) di questa e delle future generazioni.

Foto di Enrico Paravani©

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