Soltanto un paio di giorni fa parlavamo del sequestro choc, operato da parte del NOE alla Banchina 23 del porto di Civitavecchia, con l’ipotesi accusatoria, come riportato da alcuni giornali, di “danno ambientale”.
Come sta evolvendo questa vicenda che, almeno ad un primo impatto, ricorda molto le vicende ben più gravi di Taranto e dell’Ilva?
Stando ai giornali, in maniera molto, ma molto confusa.
Per tutta la giornata del 25 settembre i giornali locali hanno riportato stralci del decreto di sequestro dell’area. Il Giudice per le Indagini Preliminari Chiara Gallo descrive i motivi che l’hanno portata a far apporre i sigilli sull’area in questione.
Le accuse mosse alla Traiana SRL possono essere riassunte in:
- esercizio «senza adeguata protezione, di un’attività che produce emissioni di polvere in atmosfera attraverso deposizione e movimentazione all’aperto di ferro-cromo in assenza della prescritta autorizzazione»;
- violazione delle prescrizioni e del regolamento dell’Autorità Portuale per la movimentazione e lo stoccaggio di materiali polverosi in porto;
- immissione in mare di acque contaminate.
La cosa più inquietante però è questo passaggio : ” l’analisi delle sostanze contenute in un campione di polvere del ferrocromo ha evidenziato la presenza di sostanze ritenute cancerogene, tossiche, mutagene”.
Praticamente un ecatombe…
Arriviamo al 26 settembre, con la gran parte dei lavoratori del porto giustamente preoccupati delle possibili ricadute del sequestro, del conseguente stop alla spedizione del minerale presso le acciaierie di Terni, dei riferimenti alla tossicità del materiale movimentato.
Nel porto però le notizie rimangono confuse e frammentarie e non permettono di mettere a fuoco quali sono le reali motivazioni che hanno portato al sequestro del minerale.
E si, il minerale… perché nel frattempo parte della Banchina 23 è stata dissequestrata, visto che quest’ultima è pubblica.
Siamo vicini alla risoluzione del problema?
Forse.
Nel primo pomeriggio sembra aprirsi uno spiraglio:“Inizialmente l’ipotesi di reato era stata quella di danno ambientale, ma a quanto sembra l’intera vicenda si andrebbe ridimensionando, considerato che adesso all’azienda civitavecchiese sarebbe stata contestata solo la mancata presentazione di un’autorizzazione riguardante gli stabilimenti operativi.”
Continuando a leggere l’articolo si apprende, tra l’altro, che tale autorizzazione sarebbe stata richiesta già da tempo dalla stessa Traiana, ma non ancora rilasciata dall’Ente preposto, ovvero la Provincia. sembra inoltre che in mattinata altre imprese operanti nel porto siano state sottoposte ad analoghe verifiche inerenti la stessa autorizzazione.
Certo è che, se fosse confermato il ritardo nel rilascio delle autorizzazioni, non sarebbe certo una bella pubblicità per un Paese come il nostro, in continua ricerca di un rilancio dell’economia… ma, almeno per il momento, lasciamo perdere queste considerazioni.
In serata si apprende che anche le altre imprese sottoposte a verifiche sarebbero state iscritte nel registro degli indagati e che “per tutti, le ipotesi di reato sono sempre le stesse, ovvero l’assenza di autorizzazione della Provincia e la dispersione di polveri”.
Quindi al momento ancora adesso non siamo riusciti a capire se il motivo del sequestro debba essere ricondotto alla sola assenza di questa benedetta autorizzazione o se a questa debba anche sommarsi la dispersione di polveri.
La confusione aumenta ancora di più se consideriamo che due delle tre navi, che operavano tra le Banchine 23 e 24, quest’oggi movimentavano proprio materiali polverosi…
Ma a parte le confusioni, che sicuramente ci verranno chiarite nei prossimi giorni, c’è una cosa veramente grave che nessun giornale ha sottolineato: inaspettatamente il danno ambientale è scomparso.
Ma più di ogni altra cosa il riferimento al materiale, che dagli esami sembrava contenere “sostanze ritenute cancerogene, tossiche, mutagene”, è improvvisamente svanito.
Se quest’ultima linea di condotta fosse confermata ci si aspetterebbe, quanto meno per correttezza, una rettifica da parte di chi ha rilasciato tali roboanti dichiarazioni che hanno allarmato in maniera grave le decine di lavoratori che operano giornalmente nell’area di stoccaggio, e danneggiato, in maniera altrettanto grave, l’azienda che ne gestisce direttamente la movimentazione.
In caso contrario, ovvero se venissero confermati tali esami, ci troveremmo di fronte ad un fatto gravissimo. Il materiale in questione possiede infatti una certificazione di non tossicità, avallata da analisi specifiche effettuate dagli organi competenti (analisi che in questo caso risulterebbero quindi non veritiere?).
Insomma, in qualsiasi modo vogliamo osservare la vicenda, ci troviamo di fronte al solito pasticcio all’italiana, dove non si capisce se sussistano reati, quali essi siano e chi siano i colpevoli.
Poche sono le certezze: il silenzio dell’intera classe politica, l’ennesimo danno alla città ed i lavoratori lasciati soli a pagare colpe altrui.