Oggi, girando per l’etere e per il catetere, mi sono imbattuto nell’incubo di una generazione: il lavoro!
Ammetto di non aver mai avuto problemi a riguardo, sono un privilegiato: azienda familiare, falegnameria dove ci si fa il mazzo dalla mattina alla sera, si lavora, non si diventa ricchi ma si campa dignitosamente, non si conoscono ferie fisse né malattie “presunte”. Cosa ci volete fare? E’ il mio mondo.
Be’, parlando del più e del meno con alcuni “giovani in attesa di prima occupazione”, è uscita fuori un’esigenza e qualche domanda: perché ci fanno fare tanti anni di studi, tanti sacrifici, tante nottate sui libri, e poi al momento di raccogliere i frutti di ciò che abbiamo studiato, ci sbattono la porta in faccia?
Vero, nulla di più vero ed angosciante, ma, mi domando io: perché siamo sempre più un paese di scartabellatori di scartoffie, perché il lavoro manuale lo abbiamo lasciato ad altri?
Perché un marocchino, un senegalese, un romeno, un moldavo, un polacco, con tanto di laurea o diploma di specializzazione si “adatta” a svolgere lavori che nulla hanno a che fare con il proprio “titolo di studio”?
Domandone da un milione di euro. Lo so “hanno famiglia”, scappano da zone in guerra, non hanno nulla da perdere… devo continuare?
Perché da noi l’età adolescenziale si è allungata fino a raggiungere i 35 anni?
I miei a quell’età avevano già due figli e lavoravano da decenni!
Certo, lo Stato non aiuta, illude i suoi “figli” promettendo un futuro da “professionisti” e poi se li scorda per strada, ma… c’è sempre un ma… se avessimo avuto tutti “famiglia”?
Il caro e trito “tengo famiglia” troppo bistrattato, forse potrebbe aiutare a cercare la strada personale, anche svolgendo delle mansioni momentanee di cui si ha veramente bisogno, anche perché nonni e genitori non sono mica eterni e le pensioni non sono quelle di una volta!
So che sarò oggetto di critiche e di polemiche, anche velenose, ma vi assicuro che la vita “operaia” tempra e forma più di mille ore di master: sapersela cavare in cantiere, nei campi, nelle trattorie, dà all’individuo l’opportunità di scavare dentro se stesso.
Lo scrittore Erri De Luca ha fatto per anni il manovale e ringrazia sempre il cielo di quell’esperienza. Poi, se si vale, “la strada per il successo” alla fine si trova sempre e sarà sicuramente più luminosa da percorrere se si è provato a camminare con le proprie gambe attraverso i sentieri (anche tortuosi) che la vita ci propone.
A me potrebbe servire un operaio… fate un po voi.
Salutoni dall’aldiqua.
Foto di Enrico Paravani ©
5 Comments
Alessandra
05/11/2013 at 09:18…perche’ abbiamo costruito una societa’ che valorizza la crescita verticale (posizione economica, posizione sociale) a discapito della crescita orizzantale (letture, arte, viaggi, spiritualita’).
…e perche’ noi stessi viviamo spesso senza accorgene quell’ inganno d’identita’ che ci fa credere di essere quello facciamo anziche’ chi davvero siamo al di la’ delle mansioni che svolgiamo .
Enrico Paravani
05/11/2013 at 12:18continuo ad essere dell’idea, che non esistono lavori e mestieri di serie A e di serie B è solo l’immaginario collettivo che ci spinge a rifiutare di intraprendere “Strade” magari più faticose ma sicuramente più gratificanti!
Francesco
05/11/2013 at 14:23Ho un diploma, ma alla fine della fiera, ho dovuto zappare la terra (non metaforicamente) per 8 anni prima di poter trovare un lavoro “decente”. Anche questo è spirito di di sacrificio, quello che forse oggi manca!
Enrico Paravani
05/11/2013 at 21:23più che di spirito di sacrificio parlerei di capacità di mettersi alla prova, qualunque sia quella che ci si pone davanti. Molti aspettano come manna dal cielo il posto al culo caldo, quello che permette la partitella del giovedì e la pokerata del venerdì sera, per fortuna la vita è fatta di ben altri valori, valori che forgiano le personalità e mettono in discussione quello di sui si ha (troppo spesso) una sicurezza incrollabile basata sulla sabbia, basta una mareggiata e crolla tutto!
chicca
06/11/2013 at 04:18…..insomma, i giovani sono …….choosy??…….