Caro Diario,
sai a cosa stavo pensando?
Stavo pensando al libero arbitrio.
Quante volte hai sentito dire che noi italiani siamo liberi di scegliere chi essere, cosa amare, chi amare, come manifestare noi stessi, a quale religione appartenere, se mangiare vegano o nutrirci di blatte? Quante volte hai sentito parlare della nostra libertà di autodeterminarci?
Vedi, spesso accade una cosa strana. Quando un gruppo protesta o manifesta per ottenere un diritto civile, qualcuno si arrabbia e comincia a parlare della libertà degli italiani, delle donne che non vengono obbligate a portare il velo o dei gay che non vengono lapidati in pubblica piazza appena accennano ad una limonata per strada. Non la capiamo proprio, questa libertà, afferma quel qualcuno: per apprezzarla dovremmo guardare ai popoli governati da dittature dove la legge decide pure quanta aria devi incamerare in un minuto.
E ringraziare e stare zitti e accettare di buon grado se, a volte, questa nostra liberissima libertà viene ricondizionata dalla morale religiosa: velo per le donne no, per carità, sia mai, ma devono stare a casa a figliare, i gay non li lapidiamo ma, dai, non possono riprodursi, a cosa servono?
Sì, perché infondo, redimerci tutti con la mannaia della religione, ovvero attraverso la condanna e l’esclusione sociale, non è tanto grave come impedirci di uscire con i capelli al vento, no?
Quando il qualcuno afferma con forza e tigna che siamo liberi – “pure troppo”aggiungerebbe – di scegliere e di agire omette il “però”.
Il “però”, la conseguenza, il passaggio alla cassa della morale di stampo religioso che ti fa pagare il tuo libero arbitrio.
Puoi farlo, sei libero per la legge, ma dopo ti condanno moralmente io.
Ed è tutto perfettamente legale, perché non puoi impedire alle persone di avere un’opinione su di te e su quello che fai con la tua libertà, però quando le opinioni esondano in manipolazione psicologica, cosa si fa?
Vedi, Caro Diario a me sembra che in Italia ci siano due Stati, quello laico che risponde alla Costituzione e alle leggi nate dalla squisita democrazia, e quello religioso che risponde all’interpretazione della religione Cristiana e tenta ogni giorno di attaccare il primo, anche passivamente, sgattaiolando dentro dalla porta di servizio.
Quando c’è una legge che dice: “Ehy, su questo argomento hai la libertà di scegliere”, la storia non si esaurisce lì, con l’applicazione della tua libertà, no, c’è sempre quel Mr Qualcuno che ti ricorda cosa devi scegliere, perché se “fai la scelta sbagliata” sei fuori dalla lista invitati per il posto in paradiso e, dove possibile, la tua permanenza sulla terra sarà l’anticamera dell’inferno.
Penso proprio all’aborto, Caro Diario.
C’è questa legge dello Stato laico, targata 22 maggio 1978, la 194, che depenalizza l’aborto come reato contro la vita e quindi permette alle donne di abortire in caso di gravidanza indesiderata o a rischio. Stabilisce i tempi e i limiti, stabilisce cosa non è: l’aborto non è un contraccettivo, non è un sistema per il controllo delle nascite, ma più di tutto non è un omicidio. Lo dice la legge. La legge dello Stato laico.
Ma se la legge dello Stato laico dice che non sono una pericolosa assassina pronta ad uccidere chiunque occupi il mio utero, la morale dello Stato religioso mi condanna ferocemente, non solo battendosi affinché la legge dello Stato laico venga abolita, ma anche agendo nel sottobosco, nascosta tra i cavilli di norme comunali, prendendo accordi con le ASL locali affinché cedano ad associazioni cattoliche feti non richiesti dalla legittima proprietaria, ovvero la donna, entro le 24 ore a lei concesse per decidere come muoversi (D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285).
Adesso ti chiederai: cosa ci devono fare le associazioni cattoliche con questi feti abortiti?
Una sepoltura con rito cattolico in un cimitero comunale, ovviamente.
Lasciamo perdere il limite delle 24 ore che non tiene in considerazione lo stato psicofisico in cui le donne si trovano dopo un aborto, sì, lasciamolo perdere. Parliamo del dopo.
Caro Diario, non mi fraintendere, il problema non è solo il rito con il quale avvengono queste sepolture (lo vedremo tra poco), il problema si fa sentire quando le amministrazioni non discutono, non si confrontano, non parlano di un argomento così fragile né in consiglio comunale né con i cittadini limitandosi ad applaudire e chiamare “civili” atti incivili come quelli di imporre una sepoltura non richiesta alle donne che hanno subito o voluto un aborto. Un luogo, uno spazio, un confine geolocalizzato dove il loro file è sempre aperto, dove qualcuno, impalando una croce sull’anima, riaccende il dolore, lo sconforto, le domande su come poteva essere, anche a distanza di anni e sì, anche se lo hanno voluto.
Una forma di manipolazione sinistra e ferale che colpisce solo le donne in qualcosa di profondamente intimo dove il giudizio morale, sociale, politico non deve entrare con la sua scure, ma solo operare affinché ci sia un supporto a 360° per permettere alle donne di scegliere il meglio per loro, secondo i loro libero arbitrio e in conformità alle leggi dello Stato laico.
Il libero arbitrio, senza un terreno fertile dove poter essere esercitato, cos’è? Come si esprime? Come si attua?
Lasciamo stare anche questo, continuiamo a parlare del dopo.
Caro Diario, parliamo della religione.
Io appartengo ad un’altra “azienda”, ho altri riti, altri precetti, altre usanze, altro modo di interpretare la morte, allora io che sono di cultura diversa da quella dello Stato religioso vigente in Italia, perché devo subire, oltre a tutto il dramma e al dolore fisico, una sepoltura cattolica? Perché se non scelgo la sepoltura in autonomia devo cedere un pezzo di me, non cattolica, ad associazioni che professano una religione alla quale non appartengo?
Rito cattolico perché sì?
Vedi, Caro Diario, a me e a tutti quelli che sono contro queste sepolture dittatoriali non serve altro che discuterne con chi prende le decisioni e le tratta come questioni tecniche, ignorando e, peggio, trattando come comparsa chi ad un certo punto della sua vita si trova a decidere o a subire un aborto. E questo è il vizio del pregiudizio, credere di sapere quale sia la cosa migliore per tutti, per tutte. L’aborto è un patos personale, dall’inizio alla fine e anche dopo, ed è qui, proprio qui la manifestazione del libero arbitrio che lo Stato laico, attraverso le amministrazioni e la discussione con i cittadini, deve difendere dagli attacchi, subdoli e manipolatori, dello Stato religioso.
Lo Stato religioso che se non può impedirti di abortire, infilandoti nelle tasche i portachiavi a forma di feto e operando attraverso i medici obiettori, allora si attuerà in ogni modo, con ogni mezzo psicologico per farti sentire di aver usato male il tuo libero arbitrio, di aver sbagliato e, peggio, di aver ucciso.