Attitudine comune ai grandi artisti di tutti i tempi è quella ripetizione ossessiva delle forme e dei temi nel disperato inseguimento delle sfumature perse. Nel 2010 esce Le Noise, l’ennesimo disco di Neil Young, nuovo capitolo di una imponente discografia, faticosa e sterminata. Il musicista canadese è solo nel suo studio, la sua voce inconfondibile da ragazzino sessantasettenne, amplificatori valvolari saturi di overdrive e delay; con maestria accarezza la sua chitarra, un animale mai domo, guidandola violentemente in sghembe melodie, costantemente sul limite del feedback; quei suoni per sempre uguali a se stessi e per sempre diversi da tutto il resto.
Suoni che sono le vere fondamenta della musica dei nostri giorni; musicisti delle più disparate origini e generi considerano infatti il “loner” canadese un caposaldo delle loro influenze e fonte di continua ispirazione; considerato a ragione tra i principali ispiratori del grunge, del noise e di buona parte della musica indipendente americana. Ma la cosa che veramente impressiona di questo musicista è il potenziale di creatività fuori dal comune, che gli permette di sfornare dischi di altissimo livello con un ritmo che ha veramente dell’incredibile, in questo mondo musicale dove le giovani band di successo trovano serie difficoltà nel registrare il secondo album.
Le trasversali folk song di Le Noise hanno un sapore catartico, come un bisogno istintivo, come un qualcosa a cui siamo sempre stati abituati ma del quale sarebbe impossibile fare a meno. Difficile ascoltarlo in modo superficiale, come un tranquillo sottofondo, le linee prospettiche di Le Noise costringono lo sguardo, catturano i pensieri; l’atmosfera è elettrica, la voce carica di tensione.. si trattiene il respiro. Walk with Me, Sign of Love, Someone’s Gonna Rescue You, apnee prolungate nel sottile piacere della costrizione… Love and War, splendida, spinge in superficie, respirando a pieni polmoni… questo è Neil Young, per nostra fortuna sempre uguale a se stesso e per sempre diverso da tutto il resto.