Valle di Helmand – Afghanistan
Le pallottole fischiavano da tutte le parti, le sentivo distintamente nelle cuffie mentre comunicavo con il tenente. Riuscivo a sentirle nonostante gli ordini gridati alla radio mentre lui e il resto della compagnia se ne stavano al riparo dietro a delle sporgenze rocciose sulla riva ovest di un torrente in secca.
Conquistare il primo tratto della valle era stato un lavoro semplice, per così dire. Avevamo subito solo otto perdite e un paio di feriti contro un numero imprecisato di insorti. La barricata che avevano eretto lungo la strada non aveva resistito a lungo sotto i colpi del Bradley e alle bombe degli F16. E come avrebbe potuto? Subito dopo iniziarono i problemi. Alcuni combattenti nemici sopravvissuti all’attacco erano rimasti nascosti tra le macerie coprendo la ritirata delle truppe restanti. Avevano atteso, infine avevano aperto, improvvisamente, il fuoco sui nostri soldati in avanzamento. Lo scontro fu molto intenso, ma relativamente breve, anche se dopo che ripulimmo dai nemici il tratto della barricata i guai peggiorarono ulteriormente. Gli insorti si erano abbarbicati sul versante est della valle, in cima ad una collina, dove avevano trovato riparo tra le mura di un villaggio dalle case sventrate da vecchi bombardamenti. Le nostre unità si trovavano sul versante opposto, più in basso rispetto alla loro posizione e quindi più svantaggiate. Stavano tutte al riparo a causa di un fitto fuoco nemico fatto di pallottole di AK, mitragliatrici pesanti e mortai. In mezzo c’era la stretta valle, percorsa da un anonimo torrente quasi in secca. Qua e là si vedevano distintamente i corpi dei soldati di punta che avevano cercato di conquistare il versante nemico. Tra di loro, ancora in fiamme, c’era la carcassa del Bradley che aveva tentato di attraversare il torrente per risalire la collina. Il comandante del blindato aveva cercato di lanciarsi come un ariete contro il nemico, ma prima un colpo, poi due, poi altri colpi di RPG avevano bloccato la sua avanzata, facendolo esplodere e uccidendo all’istante i quattro membri dell’equipaggio. I soldati che lo seguivano, sfruttando il Bradley come copertura, si ritrovarono improvvisamente protagonisti di un fitto tiro al piccione, di conseguenza caddero uno dopo l’altro.
Il supporto aereo non era disponibile perché, a quanto pare, anche gli aerei hanno bisogno di rifornimento; la forza d’urto che ci aveva spinti fin lì si era esaurita e non eravamo in grado di effettuare un nuovo attacco. Potevamo soltanto rispondere al fuoco. Uscire allo scoperto significava morte certa, il tenente lo sapeva, e non solo lui, per questo ci urlava via radio di fare in modo di alleggerire la pressione, di martellare a distanza quei figli di puttana col lenzuolo in testa, di farli star giù o, per meglio dire, di ammazzarli.
Risposi che io e il resto della mia squadra di tiratori scelti avremmo dovuto spostarci. Dalla posizione in cui eravamo, troppo in basso e troppo defilati, non potevamo colpire con efficienza, quindi dopo aver chiuso la comunicazione con il tenente ne iniziai un’altra con gli altri tiratori spiegando loro cosa avrebbero dovuto fare. Avevo deciso di dividere in due la squadra. Tre sarebbero dovuti rimanere nascosti nel tratto iniziale della valle, subito dopo la barricata distrutta, dove avevano una buona visuale sia sulla valle che sul torrente costeggiato da uno stretto sentiero. Il loro compito era quello di bloccare gli insorti che attraversavano la valle più a nord per impedirgli di sferrare un eventuale attacco al nostro fianco sinistro. I ribelli per passare avrebbero dovuto correre in uno spazio aperto largo circa un centinaio di metri. Sarebbero stati al sicuro dal fuoco delle truppe alleate, ma di certo non da quello dei miei uomini.
Io e un altro componente della mia squadra, Denny, risalimmo con fatica la cresta rocciosa che si trovava sul versante opposto da quello occupato. Impiegammo più tempo del previsto, perché camminavamo molto bassi nascosti il più possibile nella vegetazione, inizialmente seguimmo un sentiero battuto dalle capre, poi ci arrampicammo sulle rocce a mani nude, giunti al punto prefissato capii di aver scelto bene perché era una buona posizione. Rispetto ai nostri soldati ci trovavamo leggermente più a sud ma molto più in alto, in linea con le postazioni difensive nemiche. Sotto di noi potevamo vedere l’intero tratto della valle dove il torrente che la attraversava rifletteva i raggi del sole. Vista dall’alto, la valle con quel torrente luccicante somigliava ad una profonda ferita da dove ancora sgorgava sangue… Dannazione il paragone era fin troppo azzeccato.
Ordinai a Denny di distanziarsi da me di circa venti metri lungo il versante dove ci eravamo arrampicati. Comunicai con il tenente, gli dissi che eravamo in posizione e che eravamo pronti al fuoco.
Mi appiattii al terreno, pancia in giù e gambe divaricate, aprii le coperture del mirino del mio M24 e iniziai a controllare il respiro ancora pesante per l’arrampicata. Dissi a Denny che gli obiettivi primari erano le postazioni delle mitragliatrici pesanti, uomini armati di RPG e chiunque avesse tentato di scendere a valle per attaccare le nostre truppe al riparo.
Non avevamo un osservatore ad indicarci chi e dove colpire, dovevamo cercare da soli gli obiettivi e io iniziai subito a seguire la linea di un vecchio muro a secco che originariamente faceva da confine tra due case. Attraverso il mirino le immagini erano piuttosto nitide grazie anche all’assenza di vento che manteneva la polvere a terra.
Poi, un movimento, veloce, proprio dietro il tratto di muro che stavo seguendo. Il rosso dello shemag che il ribelle indossava risaltava nettamente sullo sfondo. Lo seguii fino a quando il muro non terminava, a causa di un tratto che era crollato, e da lì si affacciò. Lo vidi scrutare la valle, sparare una raffica per poi ritornare al riparo, ma non si allontanò. Dai movimenti che riuscivo a scorgere intuii che stava ricaricando, ed ero certo che si sarebbe riaffacciato per sparare di nuovo, mi preparai. Controllai di nuovo il respiro, liberai la mente, mi concentrai al massimo, poi inspirai profondamente e trattenni il respiro. Mirai nel punto dove il ribelle si era affacciato l’ultima volta, ma leggermente più in alto per compensare la distanza. Il vento non c’era, ne avevo avuto un’altra conferma dalla nuvola di polvere da sparo che si era alzata in verticale quando quel bastardo aveva aperto il fuoco, poi eccolo, col lenzuolo rosso in testa, si era affacciato di nuovo proprio come l’ultima volta. Aveva aperto il fuoco sparando raffiche brevi con il suo AK. Regolai ulteriormente la mira, l’intersezione delle linee del mio mirino si incrociavano di pochissimo sopra la sua testa, rimasi immobile come una statua, trattenendo il fiato, sparai.
Il proiettile calibro 7,62 uscì dalla canna del mio fucile ad una velocità di circa 900 metri al secondo e andò a piantarsi dritto nella testa dell’insorto. L’impatto fece scattare violentemente la sua testa all’indietro, in un geyser di sangue, il ribelle si accasciò al suolo morto. Ricaricai il fucile e ripresi a scrutare il versante nemico. Un altro movimento, dietro ad una finestra annerita dal fuoco. Attraverso il mirino riuscivo a vedere l’interno della casa anch’esso bruciato, improvvisamente il ribelle si affacciò appoggiando la sua PKM sul davanzale della finestra e iniziò a sparare. La sua mitragliatrice vomitava pallottole sui nostri soldati ma si interruppe di colpo quando fu centrato in pieno. Si beccò un proiettile in piena faccia che lo fece sparire con la stessa velocità con cui si era affacciato. Aveva sparato Denny, e come al solito subito dopo disse: ‘Bingo!’. Era il suo termine per indicare quando centrava un bersaglio e non fu il solo che sentii quel giorno. Denny era un tiratore formidabile ed estremamente veloce. Calcolava con incredibile destrezza e velocità dove mirare e come in questo caso riusciva a battere sul tempo perfino me, che, da sempre, ero considerato uno dei migliori.
E così andammo avanti, esplorando il versante nemico e aprendo il fuoco su ogni cosa si muovesse. Beccammo diversi ribelli e ogni volta comunicavamo tra noi scambiandoci affermazioni di esultanza quando ne centravamo uno, ma era chiaro che non sarebbe andata bene così a lungo, gli insorti avevano capito che contro di loro sparavano dei cecchini e iniziarono a rimanere più sotto copertura. Comunque sia, avevamo allentato la pressione sui nostri soldati e di fatti iniziai a ricevere ordini dal tenente. Si era rotto i coglioni di stare rannicchiato dietro un sasso e aveva un piano per sferrare un attacco. Inoltre, si era incazzato brutalmente quando dal comando gli dissero che ci sarebbe voluto altro tempo prima dell’arrivo degli F16 perciò decise che non avrebbe più aspettato. Avrebbe fatto uscire allo scoperto gli uomini dopo aver lanciato fumogeni lungo la linea per coprire l’entrata in scena e noi dal punto dove ci trovavamo avremmo avuto il compito di inchiodare ogni stronzo che avrebbe tentato di bloccarli. Inizialmente, una volta usciti allo scoperto, protetti dal fumo e da noi tiratori, i soldati avrebbero dovuto correre, come se avessero il diavolo alle calcagna, per attraversare il tratto del torrente ed arrivare dall’altra parte della riva, dove vecchi argini offrivano una miglior copertura. Da lì avrebbero dovuto risalire il versante fino al villaggio e ripulirlo casa per casa. Il piano era audace, ma fattibile.
Richiamai il gruppo di tiratori rimasti giù per aumentare la linea di fuoco. Fu un’ottima scelta farli restare giù. Avevano ucciso diversi insorti che, come avevo previsto, erano scesi dalla collina per colpirci sul fianco. Dal punto in cui mi trovavo non potevo vedere i loro cadaveri perché la valle più avanti curvava leggermente verso sinistra ed in corrispondenza della deviazione un grande sperone di roccia impediva di vedere oltre. Chiusi la comunicazione con loro dopo aver spiegato come raggiungermi, poi continuai a scrutare il fronte nemico. Un lampo improvviso catturò la mia attenzione. Lo vidi apparire nitidamente dietro ad un cespuglio di arbusti cresciuto ai piedi di un albero. Un lampo solo. Poi un grido di avvertimento dalla radio. “GJ è stato colpito! E’ morto!” Stava attraversando il sentiero prima di arrivare nel tratto dove avrebbe dovuto arrampicarsi per raggiungermi. Era stato visto, ed era stato colpito. Un solo colpo lo aveva centrato sul collo, uccidendolo senza che nemmeno se ne rendesse conto. Gli altri della squadra corsero al riparo, non erano più al sicuro. Ormai la distanza non garantiva più sicurezza. Un solo colpo, un morto, un cecchino nemico.
Non potevo incazzarmi, non potevo urlare la mia disperazione, non era il momento. Potevo solo rimanere calmo e concentrato. Cazzo GJ era morto! Avevo visto il lampo attraverso il mirino, sapevo dov’era nascosto quel bastardo, ed ero determinato ad ammazzarlo. Ordinai al resto dei miei uomini di restare al coperto e avvertii il tenente della presenza di tiratori nemici. “Fateli fuori cazzo!” Fu la risposta che ricevetti ma non avevo bisogno del suo ordine. Avrebbe fatto partire l’attacco da lì a poco con o senza cecchini nemici lasciandomi intendere quello che noi tiratori avremmo dovuto fare, cioè, parare il culo a tutti.
Non dissi a Denny da dove avevo visto partire il colpo, volevo liquidarlo io. Mirai all’albero seguendo, verso il basso, il tronco fino al terreno. Il cespuglio di ginestre effettivamente garantiva una buona copertura visiva, ma non poteva nulla contro le pallottole. Tra le fronde del cespuglio intravidi il cecchino nemico che stava formando, quello che in gergo viene chiamato “tumore dell’albero”, ossia una protuberanza alla base dell’albero formata dal suo corpo. Non ero sicuro al cento per cento perché la vegetazione lo nascondeva bene, ma il lampo dello sparo lo avevo visto partire da lì quindi mi inchiodai mirando in quel punto. Stavo per sparare quando improvvisamente si accese un altro lampo. Aveva sparato di nuovo, senza colpire nessuno, e meglio ancora mi permise di regolare ulteriormente la mira, perché miravo infatti leggermente troppo in alto ed a sinistra. Quindi puntai innanzitutto nel punto esatto in cui avevo visto il lampo, poi spostai la mira leggermente in alto sempre per compensare la distanza. Vento assente, bersaglio immobile e distante circa seicento metri, non potevo fallire. Trattenni il respiro, improvvisamente Denny dalla radio comunicò che aveva visto il tiratore nemico ma interruppi la sua comunicazione facendo fuoco. Questa volta ero stato più veloce io.
Non vidi il colpo andare a segno, solo il corpo del tiratore nemico che iniziò a rotolare giù dal punto dove si era nascosto. Lo avevo beccato, non saprei dire dove, ma lo avevo beccato. Improvvisamente di nuovo Denny urlò alla radio l’avvistamento del tiratore nemico poi fece fuoco. “Cazzo mancato! Ore nove, in alto, dietro la roccia vicino al muro di cinta della casa più a sinistra, si sta spostando!”
Cristo c’era un altro tiratore nemico! E io che pensavo si stesse riferendo a quello che avevo ucciso io. Seguii le sue indicazioni per cercarlo ma non lo vidi. Nessuno di noi riuscì più a scorgere alcun movimento nel villaggio. I ribelli se ne stavano nascosti molto probabilmente in attesa che i loro tiratori li liberassero dalla nostra presenza. Incredibile a dirsi, ma stavano applicando la nostra stessa strategia. Ordinai di nuovo al resto della squadra di rimanere al coperto, mentre insieme a Denny continuammo ad esaminare il versante nemico. Ed improvvisamente lo vidi. Quel figlio di puttana si era nascosto dietro ad un albero che stava quasi in cima alla collina. In quel punto la vegetazione aveva nascosto i suoi spostamenti e gli aveva permesso di risalire il pendio per andare a nascondersi dietro a quell’albero. A differenza dell’altro cecchino nemico, da me ucciso, questo non se ne stava rannicchiato alla base del tronco rivelando la sua presenza ma esattamente dietro. Sfruttava infatti il tronco dell’albero per nascondere il corpo e aveva appoggiato il suo fucile sulla biforcazione dei rami. Non mi accorsi subito della sua presenza, ma soltanto dopo un secondo passaggio per ricontrollare ciò che avevo visto. La forma innaturale dei rami di quell’albero, che avevo intravisto attraverso il mirino, non aveva colpito subito la mia attenzione, ma solo dopo esser passato oltre, come quando ci si rivolta a guardare per controllare meglio una cosa che a prima vista ci era sfuggita. Di nuovo quindi inchiodai la mira in quel punto e di nuovo non dissi nulla a Denny. Anche questa volta volevo fare io tutto il lavoro. Ora che sapevo dov’era, il suo tentativo di nascondersi fu nullo. Onestamente dovevo ammettere che si era mimetizzato molto bene, ma la curva della sua testa, in quel punto, era un segnale rilevatore. Se solo avessi controllato in un punto più in basso o in alto di certo non lo avrei visto, ma adesso quel semicerchio era al centro del mio mirino e non poteva più sfuggirmi. Denny disse qualcosa, ma concentrato com’ero neanche lo sentii. Per l’ennesima volta calcolai distanza e vento, inspirai profondamente e trattenni il respiro poi…
…un lampo partì dal fucile, ma non dal mio. Il cecchino nemico aveva sparato prima, io subito dopo. Non vidi il mio proiettile andare a segno, perché quello nemico arrivò prima, dritto nella mia testa.
“Sei morto vero?”
Non risposi subito. Mi limitai a fissare il televisore con un’espressione ebete dove una schermata mi chiedeva con quale classe di soldato avrei preferito rientrare in guerra, poi mi girai a guardare mio figlio di cinque anni e sorrisi nel vederlo. La sorpresa e l’arrabbiatura per essermi fatto ammazzare sparirono all’istante. Se ne stava seduto vicino a me sul divano e come un generale sul campo di battaglia guardava la partita che stavo giocando con l’Xbox attraverso il binocolo di topolino.
“Già” Risposi. “Stavolta mi ha beccato lui”
“Perché?” Mi chiese abbassando il binocolo per guardarmi.
“Perché è stato più bravo di me. Si è nascosto bene e quando io l’ho visto ho perso tempo prima di sparargli”
“Adesso giochi ancora?”
La tentazione era forte, lo ammetto, volevo vendicarmi, ma risposi comunque: “No. Tu vuoi fare qualcosa?”
Per tutta risposta scese con un balzo dal divano e andò a prendere il pallone poi si girò e lanciò la sua sfida: “Facciamo una scattarella al quattro, al due cambio campo, però senza scivolate che sennò mamma dice che si buca la tuta, ok?”
“Ok” Risposi. “Accetto, ma prima devo andare in bagno”.
Racconto di Alessio Santoni©
Foto di Enrico Paravani©