“Parole”.
“Chiacchiere”.
“Bla bla bla”.
E poi ci sono le varianti: “Le lotte non si fanno su Facebook” ,“State sempre qui sui social a fare casino, così è facile, scendete in piazza!”
Ne leggo di tutte le fatture, corte, lunghe, a pois e con doppia cucitura.
Siamo nel 2013 e ancora la “piazza” viene dispensata come l’unica “arma contro” e, ovviamente, c’è chi ci tiene moltissimo a far notare a noi blablatori quante volte è sceso in piazza a cambiare il mondo, che poi il mondo abbia solo cambiato modo di ignorarli, è un dettaglio.
E mentre i nostalgici del sanpietrino ne osannano i benefici universali, la piazza si divide e si evolve: non è più il buco di cemento in mezzo alla città dove la gente si ritrova per parlare e manifestare, no, ora la piazza ha aperto le sue filiali altrove, specialmente online.
Facebook, ad esempio, è una piazza allargata, grande come il mondo. La gente fa camping sul social blu per parlare e discutere, tra un giochino lobotomizzante e la foto di un gattino “puccioso”, ricava angoli per la discussione politica, lo scambio di idee e conoscenze, addirittura la solidarietà scorrazza di profilo in profilo, ma prima di tutto questo, su una piattaforma come Facebook fanno giro giro tondo le informazioni che, diventando virali, cambiano le “cose” proprio sfruttando la possibilità di toccare i quattro punti cardinali del globo in pochi secondi.
Se un sindaco, uno a caso, approva, gaudium magnum, che la centrale a carbone piantata nella sua città sbruciacchi 900.000 tonnellate di carbone in più rispetto a quante ne faceva fuori prima, mettendo così in pericolo la salute dei cittadini, e i giornali non ne parlano, anzi, danno risalto alla notizia come fosse la vittoria della coppa dei campioni di questo quadrante galattico, come è possibile montare una rivoluzione in piazza senza informare la gente della gravità dell’atto compiuto da quel sindaco preso a caso? Si fa informazione porta a porta? Si bussa: “Ehi, ciao amico, vendo una guerra, vuoi comprarla?”
La lotta adesso parte da qui, dal web e si diffonde in ogni casa prima di arrivare in piazza.
La piazza virtuale non è migliore di quella reale, è solo diversa.
Come è diverso il modo di lottare. Scendere in piazza e prendere a forconate i poliziotti non è più incisivo di rimanere seduto al pc e divulgare informazioni riguardo a chi ha creato i problemi per i quali i forconi protestano. E’ solo diverso.
Perché la prima lotta dovrebbe escludere l’altra a prescindere, o peggio, perché dare per scontato che chi è attivo online NON lo sia anche fuori?
E soprattutto, possibile che nel 2013 ancora non si capisca l’importanza che un social o un sito o anche solo un tweet di 140 caratteri hanno nel divulgare informazioni che poi spingono le persone alla ribellione o a pretendere che vengano rispettate le leggi o quantomeno la salute pubblica?
Nel 2011 ci fu la sanguinosa guerra civile in Libia nella quale le forze lealiste con in testa il fu Gheddafi si scornarono con i ribelli concentrati nel Consiglio nazionale di Transizione. La missione di questi ultimi era sfilare la poltrona di primo ministro a Gheddafi e ridurre a brandelli il regime che da quarant’anni avvelenava la Libia.
Mentre ai giornalisti e alle agenzie di stampa veniva cucita la bocca, i libici riuscirono a raccontare la guerra minuto per minuto sfruttando Twitter: centoquaranta caratteri per liberare l’informazione dalla repressione del regime. Il mondo puntò gli occhi sulla Libia e su quei ragazzi, quelle ragazze, quegli uomini e quelle donne diventati improvvisamente organi d’informazione fondamentali per seguire gli scontri senza ritocchini o filtri.
Erano solo chiacchiere sbattute su un social? Non si può dirlo. Il mondo se ne interessò e ciò fu importantissimo per vincere sull’omertà e le farloccate con i quali molti paesi stavano affrontando la pratica Libia.
E questo è solo uno dei mille esempi di come non è assolutamente possibile liquidare la rivoluzione attraverso l’informazione online con “son solo chiacchiere” a favore di una presunta quanto discutibile rivoluzione di piazza che non sempre porta benefici ai cittadini, ma solo disordini a chi non manifesta, soprattutto in Italia, dove le rivoluzioni di piazza durano il tempo di una mattina, all’una “annamo a magna’ ché mi moje m’ha fatto le piselle!”.
Sarebbe fortemente gradito cominciare a considerare il web in generale e i social in particolare strumenti, mezzi, “armi” di diffusione di massa che aiutano a riempire le piazze là fuori più di quanto si è potuto fare fino a ieri servendosi SOLO dei media tradizionali (quelli liberi) e del passaparola.
E’ arrivato il momento di accettare il web come una piazza non meno importante della piazza fatta di sanpietrini e fontane, perché le “chiacchiere” che si fanno qui corrono per il mondo dando la possibilità ad una lotta di diventare globale, di fare i numeri, di esportare il problema affinché altri paesi non si trovino nella stessa situazione o per chiedere loro aiuto. Non più, quindi, un affare tra pochi intimi.
O forse è proprio questo il motivo che fa venire l’orticaria a quelle persone con in bocca sempre troppi “scendi in piazza”?
Foto di Enrico Paravani ©