A noi occidentali piace ricordare i nostri morti, li celebriamo, li contiamo, ci scanniamo per accaparrarci il diritto sulle loro eredità morali, ci sentiamo fieri di essere discendenti degli eroi che ci hanno donato una storia tanto importante! “Per non dimenticare”, adoriamo cinguettare.
Poi scontiamo sulla storia degli altri e se sul nostro calendario della memoria mancano delle date fatali, fa niente, non è roba nostra. O almeno così pensiamo…
Il genocidio in Ruanda, ad esempio, è stato ricordato, certo, ma poco poco, giusto il tempo di qualche servizio giornalistico, ma quel massacro è anche roba nostra, è roba da occidentali colonizzatori che, prima con la Germania e poi con il Belgio, hanno creato un profondo spacco nella società ruandese, portando due presunte etnie ad odiarsi.
Non voglio raccontare la storia bastarda questo genocidio che in soli 100 giorni macinò quasi un milione di morti nel silenzio dell’intero pianeta, desidero dedicare questo post ad un eroe ancora vivo, uomo, un italiano, che salvò quasi duemila esseri umani da un destino infame.
Si chiama Pierantonio Costa, è un imprenditore italiano che vive in Africa “da sempre”. Nel 1994, quando gli Hutu cominciarono a sterminare i Tutsi, si trovava proprio in Ruanda e ricopriva la carica di console onorario a Kingali.
Un imprenditore.
Un console.
Un uomo che poteva scappare.
E ha deciso di rimanere.
Per compiere quello che lui chiama il “suo dovere”.
Utilizzando il suo denaro, le amicizie, persino la corruzione, ha macinato centinaia di chilometri in macchina tra il Ruanda e il Burundi con un carico di vite non indifferente.
“Ho solo fatto quello che dovevo fare ”, dice. Ma il dovere di un uomo, in una situazione simile, non è semplicemente quello di salvare se stesso e la sua famiglia?
Per alcuni uomini no.
Ho letto la storia di questo eroe quasi per caso, poche celebrazioni al ventennio dal genocidio più “omertoso” del XX secolo. Eppure, Costa è di fatto un eroe… ed è italiano! Parla la nostra lingua, è “nostro” e un giorno lascerà proprio a noi un’altra storia da ricordare e per la quale andare fieri.
O forse, quella ruandese, è una storia che noi preferiamo dimenticare come, ai tempi, abbiamo preferito ignorare?